Torino città del cinema
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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Lungometraggi



Un amore
Italia, 1999, 35mm, 103', Colore

Altri titoli: A Love

Regia
Gianluca Maria Tavarelli

Soggetto
Gianluca Maria Tavarelli

Sceneggiatura
Gianluca Maria Tavarelli

Fotografia
Pietro Sciortino

Operatore
Giovanni Gebbia

Musica originale
Ezio Bosso

Musiche di repertorio
Francesco Guccini, C. Lupano, Bob Geldof, Culture Club, J.L.Guerra, Di Traglia, Cairo, Tamburini, Iaquone

Suono
Mario Iaquone

Montaggio
Marco Spoletini

Scenografia
Francesca Bocca

Costumi
Lia Francesca Morandini

Trucco
Gloria Pescatore

Aiuto regia
Cinzia Castania

Interpreti
Fabrizio Gifuni (Marco), Lorenza Indovina (Sara), Luciano Federico (Filippo), Roberta Lena (Veronica), Gianluca Arcopinto (marito di Sara), Riccardo Montanaro (investigatore), Ezio Sega (professore universitario), Nicola Rondolino, Benedetta Francardo, Toni Montecarlo, Giorgia Pellegrini, Enzo Mei, Moira Touget, Guido Steglio, Enrico Verra, Zoe Tavarelli

Ispettore di produzione
Guido Foa, Cesare Apolito

Produzione
Gianluca Arcopinto, Axelotil Film in collaborazione con Rai Radiotelevisione Italiana

Distribuzione
Pablo

Note
2900 metri.
Collaborazione alla sceneggiatura: Leonardo Fasoli; assistente operatore: Angelo Santovito; fotografo di scena: Borjc Tobiasson; esecuzioni musicali: The Mixed Quartet (Ezio Bosso, Arturo Amichino, Alberto Porcacchia, Adriano De Micco); canzoni: F. Guccini (Argentina, La canzone della vita quotidiana) ,C. Lupano (Forme della realtà), B. Geldorf (I Don’t Like Mondays), Culture Club (Victims), J.L. Guerra (La bilirrubina), Di Traglia, Cairo, Tamburini, Iaquone (Don’t Go); suono in presa diretta; edizione del suono: Luigi Melchionda; montaggio del suono: Itria Maceroni; fonico di mixage: Alberto Colajacono; assistente al montaggio: Giuliano Papacchioli; assistente scenografo: Giada Esposto, Enrico Mandirola; aiuto costumista: Vera Maria Castrovilli; parrucchiera: Maria Sansone; assistente alla regia: Nicola Rondolino; organizzazione: Leonardo Fasoli, Lia Furxhi; segretario di produzione: Alfonso Papa; segretaria di edizione: Giorgia Priolo; disegni: Laura Federici.
Film realizzato con il sostegno della Regione Piemonte e il patrocinio della Città di Torino.   
Premi: Premio “Duel” come Miglior Film 1999; Premio Nice USA 2000; Ovidio d’Argento del Festival di Sulmona a Lorenza Indovina come Miglior Attrice Protagonista; Cerasa d’Oro del Festival di Palombara Sabina a Fabrizio Gifuni e Lorenza Indovina come Migliori Attori Protagonisti
 
Titoli dei 12 piani sequenza:
-    9 gennaio 1998. Ore 12.45’. La conversazione
-    19 giugno 1982. 16 anni prima. Ore 23.15’. L’alba
-    8 giugno 1984. Due anni dopo. Ore 9.30’. Il gioco di squadra
-    13 luglio 1985. Un ano dopo. Ore 21.15’. Vado via
-    11 novembre 1989. 4 anni dopo. Ore 2.45’. Di nuovo insieme
-    17 gennaio 1991. 1 anno dopo. Ore 7. Il dolore
-    14 febbraio 1994. 3 anni dopo. Ore 16.30’. Le speranze
-    16 dicembre 1996. 2 anni e ½ dopo. Ore 13.45’. La vita da grandi
-    20 dicembre 1996. Ore 19.10’. Incontro
-    29 luglio 1997. Ore 20.10’. Gente comune
-    8 gennaio 1998. Ore 19.50’. Tradimenti
-    Il 31 dicembre 1999. Ore 23.15’. “2000”




Sinossi
Sara e Marco si conoscono in una discoteca nel giugno del 1982 e s’innamorano. Il film mostra alcuni momenti della loro vita: 8 giugno 1984, 13 luglio 1985, 11 novembre 1989, 17 gennaio e 15 febbraio 1991, 19 febbraio 1994, 16 dicembre e 20 dicembre 1996, 29 luglio 1997, 28 gennaio 1998. In queste occasioni litigano, si lasciano, si riprendono, si sposano, si perdono, si ritrovano, vivono furtivamente come amanti, si separano dai coniugi, pensano di vivere da soli. Tuttavia il loro amore resiste, in situazioni diverse, anche a distanza, come luogo immaginario e protetto di un ideale di sentimento incrollabile e sempre rassicurante. Il 31 dicembre 1999 per caso Sara e Marco si incontrano di nuovo ad una festa. Insieme brindano all'arrivo del nuovo millennio. Le dodici fasi di questo rapporto amoroso, che si snodano nell’arco di un ventennio, hanno come sfondo la città di Torino.




Dichiarazioni
«Non è solo una storia d’amore, ma il tentativo di raccontare il tempo che passa impercettibilmente sulle persone, cambiandole in un modo di cui non ci si accorge subito, ma che all’improvviso dà la sensazione di essere diversi da prima. […] La vita sembra offrire infinite possibilità di scelta ma in realtà la nostra esistenza la decidiamo in pochi attimi. È quanto accade a Marco e Sara, i protagonisti di questa storia. […] Ho voluto fare un film rigidamente costruito. L’obbligo, per non rimanere troppo statici, era che gli attori fossero sempre in movimento. Una specie di balletto tra interpreti, macchina da presa, tecnici. A monte non c’è una vera e propria sceneggiatura, ma una serie di appunti raccolti nel corso degli anni, cose mie, cose sentite dire, cose rubate agli amici. Un materiale sparpagliato che è stato messo insieme e finalizzato alla storia che volevo raccontare» (G.M. Tavarelli, “la Repubblica”, 5.8.1999).
 
«La divisione in dodici scene non è un esercizio stilistico, ma è funzionale alla storia perché dà la dimensione del trascorrere del tempo. Per noi attori anche i passaggi di età sono stati difficili. […] I piani-sequenza ci hanno messo di fronte a grandi problemi tecnici perché sono molto diversi da una recitazione teatrale. Dovevamo essere noi attori a dare il ritmo del film. Ma Un amore mi è sembrato un modo di fare cinema che oggi manca e che bisognerebbe cominciare a affrontare» (L. Indovina, “la Repubblica”, 5.8.1999).
 
«Un film di grande artigianato. […] La ma difficoltà è stata quella di dire le cose che dice Marco stando attento a non recitarle criticandolo. È un uomo orrendo. Sono più spietato, nel giudicarlo, di Tavarelli che in qualche modo giustifica i suoi personaggi. Marco è lo specchio di tante esistenze mancate che ci circondano ogni giorno, perché se non si fanno i conti con i propri problemi si finisce male. […] E non si tratta di un discorso generazionale né di un tema sulla formazione nei famigerati anni Ottanta. Questi due individui rappresentano semplicemente due esseri umani» (F. Gifuni, “la Repubblica”, 5.8.1999).





«In Un amore di Gianluca Maria Tavarelli, che è stato un piccolo "fenomeno" di tenitura prodotto e distributo da uno strenuo e appassionato indipendente come GianlucaArcopinto con la Pablo, il pianosequenza diventa interpunzio­ne narrativa per cui il film è strutturato per lacerti che (come già sperimentato in un rapporto con la messinscena più ambizioso e irrisolto in Così ridevano di Amelio) funzionano in rapporto al non-raccontato, all'ellissi, a una sedimentazione dei rapporti e dei sentimenti nel fuori­campo: la coppia di giovani amanti che si lasciano, si ritrovano, si rilasciano, si disamorano e si riinnamorano viene "rilanciata" nel corso del tempo che passa (tempo privato accordato per contrasto al tempo pubblico di un’Italia che appunto perde via via la sua tensione ideale) e colta nei momenti frammentari ma cruciali del rapporto dalle sequenze compatte e unitarie in una specie di "destinazione" del movimento di macchina che fin dall'inizio ci sembra determinante; lo sguardo di un fotografo infatti nella prima sequenza inquadra un litigio tra i due che avviene lontano e di cui cogliamo solo frammenti sonorovisivi ma che serve come punto di partenza per tutta la costruzione del film come se il pianosequenza indirizzasse in modo teleologico le vicende e i capricci del caso che trasportano la coppia nella loro passione lungo gli anni. Ne viene fuori il "ritratto in piedi" di un rapporto, una concentrazione tesa dello sguardo filmico su due personaggi incarnati quasi empaticamente dagli straordinari Lorenza Indovina e Fabrizio Gifuni» (B. Roberti, “Filmcritica” nn. 506/507, giugno-luglio 2000).
 
«Non necessariamente Les choses de la vie devono assurgere alla nazionalità francese, nes­sun manuale ha mai prescritto che le "scene di un matrimo­nio" (reale o rimasto nelle in­tenzioni) abbiano da attingere la poesia bergmaniana. Circo­scritto ad un'ambientazione to­rinese che, dal Capodanno del 2000 procede a ritroso per cir­ca vent'anni di relazione trava­gliata e impossibile, il fram­mento di discorso d'amore nar­rato dal giovane Tavarelli è intenso e coinvolgente, aggrazia­to ma non affetto da quelle "carinerie" tanto dannose al più recente cinema italiano. […] Quasi spiati dall'obbiettivo cinemato­grafico nei momenti più inav­vertiti, casuali, persino impac­ciati nella loro sincopata avven­tura sentimentale, i personaggi di Tavarelli (felicemente inter­pretati da Fabrizio Gifuni e Lo­renza Indovina) hanno la dote, cara a Rohmer, della casualità, della reticenza non malevola, del girare in tondo sul nucleo di desideri, rivalse, ripensamenti, rimpianti che, sempre alle soglie del dramma annunciato (la don­na che cerca di disperdersi fra le onde in inverno, il marito di lei che medita vendetta), conduco­no per mano spettatori e inter­preti alle soglie di un nuovo millennio» (A. Pizzuto, “Cinemasessanta” n. 1/251, gennaio-febbraio 2000).
 
Dodici piani sequenza per raccontare gli amori e le disillusioni di un uomo e di una donna, raccontando i tormenti esistenziali sullo sfondo di una città in trasformazione. Il tema eterno dell’amore viene proposto come idea astratta (espressa anche con la scelta di un titolo – Un amore – privo di specificazioni, che deve suggerire l’idea di una storia come tante, come forse tutte le storie) alla quale ostinatamente l’individuo tenta di aggrapparsi nel bisogno disperato di trovare un ricovero rassicurante e incrollabile nello scorrere indifferente, quasi insensato, inesorabile degli eventi della vita, del tempo. Così, la dimensione temporale diviene nel film una delle componenti chiave, che Gianluca Tavarelli sottopone a un complesso lavoro sia di decomposizione – attraverso la suddivisione in episodi, i salti, le ellissi, i flashback – sia di ricomposizione – attraverso la tecnica del piano sequenza, ovvero la ripresa in continuità di una scena senza tagli di montaggio.

Il film si struttura sul duplice vettore dell’intensità sentimentale, che va oltre ogni scelta ponderata, e sul gioco della memoria. La scelta di introdurre molte sequenze con un riferimento alla cronaca del periodo (dalla vittoria del Mondiale di calcio dell’Italia nel 1982 alla caduta del muro di Berlino nel 1989) non serve a contestualizzare l’epoca ma sottolinea la distanza tra la storia di Sara e Marco e la Storia, che appare spesso come un semplice sfondo scenografico rispetto all’intensità dei sentimenti dei due protagonisti e alla loro continua trasformazione. Di fronte alla progressiva trasformazione dei personaggi e alla ripetitività di certe situazioni necessariamente incentrate sul rapporto tra loro c’era il rischio di finire nel grigiore estetico e narrativo di un cinema italiano “carino” e minimalista, ma Tavarelli non cade nella trappola e si fa apprezzare per il coraggio narrativo e il costante tentativo di rendere la complessità di due percorsi esistenziali in cui le logiche del quotidiano si scontrano con l’irrazionalità dei sentimenti.
 
«Un’autentica sfida quella lanciata dal torinese Gianluca Maria Tavarelli con il suo secondo lungometraggio […]: dodici quadri girati in piano-sequenza (e in 14 giorni!) legati insieme da siparietti animati di 30” ciascuno (opera di Laura Federici). Dodici piano-sequenza, quindi, per testimoniare i dodici momenti doc dell’intensa storia d’amore fra Marco e Sara, rivissuta in flashback, partendo dal 1982, anno del primo incontro avvenuto in una discoteca, e approdando al 31 dicembre 1999, evento epocale per la Storia e per il futuro dei due. Il titolo, preso in prestito da una poesia di Umberto Saba, è anche il paradigma di questo film semplice e articolato, in cui i piccoli spostamenti della macchina da presa vanno di pari passo con i piccoli spostamenti del cuore dei protagonisti. Che sono la tenera, corvina, appassionata Lorenza Indovina, occhi da cerbiatto, pronta a farsi sopraffare e vincere da quell’amore; e lo splendido svagato Fabrizio Gifuni, perfetto nei mutamenti che la vita “regala” dopo i trent’anni. Prodotto e distribuito dalla Pablo di Gianluca Arcopinto (che compare nell’unico episodio zoppo del film), piccolo avamposto del cinema indipendente italiano» (A. Fittante, “Film Tv”, 1999).
 
«La storia amorosa ha nel film due pregi rari. Una semplicità, intensità e verità di racconto che rispecchia senza banalizzarli i capricci dell’esistenza, le variazioni impreviste del sentimento, gli scatti incongrui dell’ira o i dettagli dell’affetto; i due interpreti molto ben scelti e ben diretti sono perfetti per la storia (certe furie di Lorenza Indovina hanno un’autenticità ammirevole) e per la maniera del regista di lasciar avvertire con leggerezza esatta la temperie storica sottesa alle vicende private (la morte di Berlinguer, la caduta del Muro di Berlino). Altro pregio è la struttura narrativa […]. Convinto che della vita restino memorabili soltanto alcuni momenti, parziali ma capaci d’assumere massimo significato nel ricordo, Tavarelli ha diviso il racconto in dodici scene, scandite e datate da brevi animazioni di Laura Federici. Non sono scene madri, soltanto attimi, episodi o situazioni-sensazioni eloquenti: un esame universitario, una stanchezza, un camminare insieme, una di quelle immagini che rimangono essenziali nel cuore» (L. Tornabuoni, “La Stampa”, 21.8.1999).
 
«Episodi brevi, condensati attorno a un solo movimento psicologico, svolto tenendo sempre i protagonisti in primo piano e, di solito, lasciando pochissimo spazio alla cornice, una Torino quasi solo di contorno – e ai personaggi secondari, dati più come presenze che non come caratteri. […] Il risultato spesso convince. Intanto per il continuo snodarsi, fra pacificazioni e contrasti, di quei sentimenti spesso molto forti, poi per il ritratto che, con questo espediente narrativo e anche stilistico [il piano-sequanza], si ottiene dei due protagonisti, lei impetuosa e decisa, lui più esitante ed incerto, con un sottofondo di egoismo» (G.L. Rondi, “Il Tempo”, 19.9.1999).
 
«Certo, il titolo, Un amore, è un po’ vago, quasi presuntuoso se non comico, visto che Buzzati non c’entra. Però. È un film indipendente e non dispone di megafoni promozionali adeguati. È un congegno fuori schema: né commedia, né teen age movie, né thriller, né melò né film politico (anche se sfiora ora un genere ora l’altro: e non dimentica tangentopoli). Fa parte infatti del pacchetto di film “estremi”, mai solo “carini”, sempre originali […] della Pablo di Gianluca Arcopinto, che del film (da buon seguace della filosofia produttiva Corman) è anche interprete di secondo piano. […] Certo siamo nel bel mezzo di un soggetto impossibile: “ragazzo incontra ragazza”. Alto quoziente di difficoltà: come fare a entusiasmarsi? Però il ventenne “distratto” e viveur incontra la ventenne “che lo ha puntato”, in una discoteca, nel 1982 (scenografa e costumista hanno 17 anni di tempo per divertirsi) e la storia di questo “amore” – doloroso, combattuto, fou e grottesco – arriva fino ad oggi. Tra passione, freddezze glaciali, goliardate, separazioni drammatiche, urla, esami d’università, botte, risate complici, tomponzi sguinzagliati, ritrovamenti. Materiali vaghi e precisi al millimetro che certo pescano sapori e aromi verosimili da qualche accadimento autobiografico del regista-co-sceneggiatore. Un amore scodella due personaggi (e i loro amici, più schiacciati ancora dal loro stupidissimo io, Luciano Federico e Roberta Lena) via via mutanti, nelle pettinature, nello sguardo, nella grinta e nei sentimenti. Ma mai spenti. C’è il tempo per passare dall’adolescenza alla maturità, dall’incoscienza “single” a quella “sposata”. E da un party punk a uno square. C’è il tempo per farsi rapire dalle canzonette sceme e che catturano l’anima segreta dei decenni […]. Solo attori strepitosi […] potevano attirarci nei gorghi di questo “amore”. Lorenza Indovina […] e Fabrizio Gifuni […] maneggiano una gamma totale di toni e sottotoni gestuali e espressivi, rendendo naturali i mix più innaturali: burlesque e melo; horror e romance, Sara e Marco» (R. Silvestri, “il manifesto”, 24.8.1999).
 
«Dopo il felice esordio nel '94 con Portami via, il giovane regista torinese Gianluca Maria Tavarelli conferma con questo suo secondo film una naturale propensione per uno stile più che minimale […] La grande capacità del film è peraltro quella di saper tener lontano il rischio della banalità, pur continuando Un amore a percorrere fino alla fine una strada di assoluta popolarità e normalità, evitando la ricerca dell' “originalità” a tutti i costi. Salvi i dipinti-collage che introducono ogni inizio di episodio, e salva la poesia Un ricordo di Umberto Saba che compare sullo schermo prima dei titoli di coda, il film riesce infatti a trovare la vera poesia della vita proprio a partire dal suo solido contatto con la realtà. Non solo perché quasi ogni episodio dichiara la propria riconoscibilità temporale grazie a diversi accenni alla storia fuori (dai mondiali di calcio, alla caduta del Muro di Berlino, alla guerra in Iraq, ai fatti di corruzione in Italia, ecc.); non solo perché Torino viene fotografata in maniera assolutamente realistica, a partire dai suoi colori a metà fra il triste e l'allegro; non solo perché le interpretazioni dei due protagonisti sono pulite e naturali, cioè non costruite e recitate; non solo perché il quasi costante uso dei piani sequenza conferisce quasi sempre un'identificabilità visiva e temporale del tempo dello spettatore rispetto al tempo della storia. Sono invece proprio i dialoghi e le situazioni raccontate in ciascuno dei dodici episodi a sapere di vita. […] alla scoperta della possibilità di realizzare insieme un futuro più felice, si aggancia il sentimento di amarezza per una vita in parte scivolata via solo perché c'è stata troppa paura di affrontarla e viverla fino in fondo. Da questo punto di vista Tavarelli è molto bravo a far capire (autobiograficamente?) al pubblico maschile come questo senso di stupida irresponsabilità ricada più sulle spalle dì Marco, che di Sara» (M. Lombardi, “Film” n. 53, settembre-ottobre 2001).
«[…] in Un amore (1999) […] si tratta di due ragazzi che vedono gradualmente stemperarsi i propri sogni di gioventù - la band musicale, le serate in discoteca, la vita universitaria - nella quotidianità fatta di lavoro e di legami stabili; due ragazzi che non reggono il peso delle proprie responsabilità sulla strada che dovrebbe portarli a diventare uomini: "Non è solo una storia d'amore, ma il tentativo di raccontare il tempo che passa impercettibilmente sulle persone, cambiandole in un modo di cui non ci si accorge subito, ma che all'improvviso dà la sensazione di essere diversi da prima. […] La vita sembra offrire infinite possibilità di scelta ma in realtà la nostra esistenza la decidiamo in pochi attimi" (Gianluca Maria Tavarelli, “La Repubblica”, 5 agosto 1999). Anche in questo caso l'ambientazione è quella torinese, e come nel precedente film la città rimane spesso sullo sfondo per dar spazio ai corpi e alla trasformazione dei sentimenti che animano i personaggi nei dodici quadri girati in piano sequenza. In questi due primi lungometraggi il capoluogo piemontese si configura insomma come vero e proprio paesaggio dell'anima, come dimensione dell'inadeguatezza di una generazione avviata al precariato lavorativo e sentimentale, perennemente insoddisfatta delle alternative proposte dalla società in cui si trovano "costretti" a vivere» (S. Ghelli, “Quaderni del CSCI” n. 6, 2010).


Scheda a cura di
Matteo Pollone

Persone / Istituzioni
Gianluca Maria Tavarelli
Pietro Sciortino
Giovanni Gebbia
Ezio Bosso
Mario Iaquone
Fabrizio Gifuni
Lorenza Indovina
Gianluca Arcopinto
Nicola Rondolino
Enrico Verra
Francesca Bocca

Luoghi
NomeCittàIndirizzo
aiuola CavourTorino-
Carlo Alberto, piazzaTorinopiazza Carlo Alberto
Cavour, viaTorinovia Cavour
Cesare Battisti, viaTorinovia Cesare Battisti
Libreria LuxembourgTorinoVia Accademia delle Scienze angolo Via Cesare Battisti
lungo PoTorino-
lungo Po CadornaTorino-
Montebello, viaTorinovia Montebello
Murazzi del PoTorino-
Palazzo NuovoTorinovia Sant'Ottavio
Po, viaTorinovia Po
Università degli studi, RettoratoTorinoVia Po
Verdi, viaTorinovia Verdi
Vittorio Veneto, piazzaTorinopiazza Vittorio Veneto



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