Torino è la mia città!, come cantavano i Rough, gruppo punk torinese degli anni Ottanta. Nel bene e nel male, con il suo reticolo di vie dritte e piazze ad angolo retto, al cospetto di montagne innevate, tra i rintocchi notturni sul porfido bagnato, negli anfratti nascosti dietro le facciate settecentesche, nei retrobottega, nei cortili delle case di ringhiera, nelle gallerie sotterranee che si snodano sotto tutta la città, tra le fabbriche abbandonate e i palazzi di periferia, nei bar di quartiere e nei giardinetti malfamati.
La Mole Antonelliana l’han costruita apposta,
mi dondolo nel vuoto, mi butto giù di testa,
la Mole Antonelliana l’han costruita apposta,
ma prima di buttarmi aspetto una risposta,
cantavano i Fratelli di Soledad.
La cosa più bella di Torino, secondo me, è che non è mai soltanto quella che sembra, se chi la vive ha la curiosità di girare l’angolo, entrare nel portone e scendere le scale, giù giù fino a scoprire i luoghi più nascosti e dimenticati. Torino è come una città di un racconto di Lovecraft, perché, a dispetto di ogni possibile restyling, alimenterà sempre nelle proprie viscere una follia imprevedibile e vitale, che dai recessi dell’ombra continuerà a ridersela e a farsi beffe di tutto quanto, pronta a sgusciare fuori e a librarsi nella luce del sole.
(Dichiarazione originale)