Nulla Osta n. 14.621 del 3.7.1953; 2.640 metri. Anno di produzione: 1952.
Orchestra Sinfonica della Rai di Roma; direttore d’orchestra: Giovanni Fusco; consulenza storico militare: Piero Pieri; direttore di produzione: Giancarlo Fuortes; segretario di edizione: Vincenzo Gamna.
«Con indirizzo realistico, con una accurata indagine storica guidata dal prof. Piero Pieri, partendo dai presupposti storici e culturali […], la Casa produttrice ha voluto iniziare la sua attività nel campo del film a lungometraggio affidandomi la regia di Vecchio regno. Il fatto che, per un film impegnativo e difficile essa abbia voluto affidare a me, che sono per la prima volta dinanzi a un film a lungometraggio, la regia, e ad Alfieri Canavero, anch’egli per la prima volta impegnato nella responsabilità di primo operatore, la fotografia, rende indubbiamente di particolare interesse questa realizzazione. […] Quale il modo, quale la via narrativa da seguire per fare un Risorgimento (più ampiamente un Ottocento italiano) che non sia retorico né bozzettistico? Evidentemente, a mio avviso, quella capace di superare le aureole e i limiti del tempo, per una interpretazione drammaticamente moderna dei fatti storici, una interpretazione cioè capace di raccontare la storia come vita degli uomini. Ciò che avvenne nel lontano 1849 sui campi della pianura piemontese, non è mito né cronaca, ma sono le azioni, gli stati d‘animo degli uomini di allora che vivendo la loro avventura facevano la storia del loro tempo» (P. Nelli, “Cinema Nuovo”, n. 8, 1953).
«Ho iniziato a lavorare nel cinema durante gli anni 1949-1950 alla Fert, dove da molto tempo lavorava mio padre, come assistente alla macchina per Carlo Borghesio. […] iniziai a lavorare per Venturini come direttore della fotografia […] collaborai anche con la Vides di via Menabrea, fondata da un ingegnere di nome Victor De Santis, da cui il nome, Vi. Des. Giravo per loro i servizi della Settimana Incom, di cui la Vides aveva i diritti per tutto il Piemonte. Nel 1952 Franco Cristaldi rilevò la Vides e insieme a lui girai una serie di documentari e La pattuglia sperduta, la prima opera di finzione prodotta dalla Vides. Il film fu girato dall’esordiente Piero Nelli alle porte di Torino, vicino a Settimo, e soprattutto tra le risaie di Casale, durante tre mesi di un inverno rigidissimo. Pur avendo una sceneggiatura dettagliata, ogni giorno qualcosa veniva inventato, c’erano attori non professionisti – commercianti, autisti… –, poi avevo a disposizione un gruppo elettrogeno insufficiente, quindi a volte ero costretto a illuminare con i fanali delle macchine, poi dovevo inventare con mezzi di fortuna le nebbie che avvolgevano i soldati… Mi ricordo anche che la costumista era la moglie di Cristaldi, e che la scena della battaglia fu girata nella piazza principale di Carignano. La pattuglia sperduta è un’opera curiosa: un film di guerra soprattutto psicologico, dove i soldati piemontesi vedono raramente i nemici austriaci»(A. Canavero, in D. Bracco, S. Della Casa, P. Manera, F. Prono, a cura, Torino città del cinema, Il Castoro, Milano, 2001).
«La temperatura esterna era perennemente sotto lo zero, quella corporea era di gran lunga sotto i 36 gradi. Ecco allora che noi dovevamo ingegnarci perché, essendo destinati a morire nel film, non ci accadesse lo stesso nella vita. In tutte le sequenze che mi vedono coinvolto io avevo sempre quattro paia di calze ai piedi e cinque maglioni sotto la divisa. Questo ha forse creato qualche problema per il sarto che doveva prevedere divise più abbondanti, ma mi ha consentito di arrivare vivo alla fine del film» (G. Luzzatti [attore], “La Stampa – TorinoSette").
«Il freddo era così pungente che durante le pause usavamo persino il fieno per scaldarci. Fu così che uno di noi rimase addormentato sotto il fieno e ci accorgemmo della sua mancanza solo a sera, quando gi eravamo tornati in città. E il fieno fu un ottimo coibente, visto che noi eravamo convinti che lui fosse ormai assiderato e invece lo ritrovammo in ottima salute…» (V. Gamna [segretario di edizione], “La Stampa – TorinoSette").
Il nemico è altrove, al di là della fitta nebbia: ci sono pochi spari ma molti morti. A Piero Nelli, che viene dal documentario, e a Franco Cristaldi, che esordisce nella produzione, interessano di più i rapporti di classe: i soldati non sono tutti uguali, c’è chi viene da una famiglia borghese e chi sogna di lasciare la Val Pellice per recarsi a Torino, dove si stanno aprendo le fabbriche e c’è lavoro per tutti. Questi uomini tanto diversi tra loro per origine e condizione sociale sono uniti dalla comune volontà di lotta per liberare l’Italia dall’oppressione straniera: come non pensare, in epoca neorealista, ad un’evidente allusione da un lato alla guerra partigiana che già all’inizio degli anni Cinquanta molti in Italia stavano cercando di rimuovere dalla memoria, e dall’altro alla necessità del superamento delle rivalità politiche dopo la Liberazione?
«L’originalità della Pattuglia sperduta consiste proprio nell’impostazione antieroca della vicenda, che si conclude tra i cadaveri e le macerie fumanti di una sconfitta. La battaglia, che di fatto non appare mai sullo schermo, diventa per il regista l’occasione di riflettere sulle conseguenze di carattere sociale prodotte dalla guerra. […] L’enfasi nazionalistica lascia il posto a una visione dimessa e umanizzata, più aderente alla dimensione psicologica delle persone comuni, con pochi riferimenti essenziali al dibattito politico dell’epoca. Questi si possono riscontrare nel dialogo che i componenti della pattuglia intessono a proposito delle loro diverse provenienze e dell’importanza di un’Italia unita in cui possano convivere pacificamente le tradizioni di ogni regione» (R. Fiammetti, C. Recupito, P. Cirri, La pattuglia sperduta, Interlinea Edizioni, Novara, 2004).
Piero Nelli dimostra, fin da questa opera d’esordio, di possedere una buona tecnica cinematografica, che si evidenzia in alcune sequenze come la fuga del tenente nella notte o quella dell’invasione delle truppe austriache, costruite con serrati ritmi di montaggio e originali angolazioni delle inquadrature.
Il senso di vertigine che viene offerto dalle brume e da un nemico invisibile e impalpabile costituisce il motivo di maggior interesse formale e accresce l’inadeguatezza del discorso finale, retorico come il film non è mai stato fino a quel momento, tutto incentrato sull’esigenza di un’Italia unita ed evidente concessione per evitare guai con la censura. Per lo stesso motivo fu modificato il titolo con cui uscì nel 1952, Vecchio regno.
Si tratta dunque di un film coraggioso e fuori dal tempo, privo di successo commerciale, quasi dimenticato, realizzato con pochi mezzi tecnici e scarse risorse finanziare nelle campagne vicino a Casale, mentre la scena della battaglia fu girata nella piazza principale di Carignano tra due ali di folla incuriosita. Alfieri Canavero ricorda che, per sopperire alla mancanza di fonti di luce abbastanza potenti, talvolta furono usati anche i fari delle automobili della produzione per illuminare il set; i cannoni erano costituiti da un paio di ruote di carro con un tubo di stufa semicoperto da uno straccio; la nebbia era assai utile per creare uno sfondo nelle riprese in esterni risolvendo i problemi della profondità di campo. Ma proprio la penombra che avvolge alcune sequenze, la nebbia persistente che circonda la pattuglia rendono visivamente l’idea del suo spaesamento e della precarietà della situazione, conferendo alle inquadrature grande suggestione e fascino.
Giulio Cesare Castello afferma che, per ottenere una sua personale “chiave visiva”, Piero Nelli «si è affidato a un operatore inedito, Alfieri Canavero, nei cui confronti è lecito parlare di rivelazione, dopo i coerentissimi risultati, ottenuti attraverso l’insistenza su una tonalità monocorde e nebbiosa, estremamente pertinente al racconto. (Meno entusiasta sono del contributo del più illustre Goffredo Detrassi quale musicista: egli si è compiaciuto di sottolineature di una sonorità alquanto standardizzata, non senza ottenere tuttavia sporadici esiti di drammaticità – notevole, per esempio, il ricorrere di una celebre marcia militare quale Leitmotiv per l’esercito austriaco)» (G.C. Castello, “Cinema” n. 139, 10.8.1954).
Ricorda Massimo Cristaldi, figlio del produttore Fanco: «Per il film mio padre convinse Goffredo Petrassi a firmare la colonna sonora. Una colonna sonora importante, molto bella, intensa. Questa collaborazione non sfuggì a Gatti e Gualino, rispettivamente direttore generale e presidente di una delle più importanti società di distribuzione cinematografica dell’epoca, la Lux Film. Gatti e Gualino erano infatti grandi amanti della musica e anche esperti nel campo, e rimasero molto colpiti da questo giovane produttore, di neanche trent’anni, che era riuscito a convincere a lavorare per lui un grande e famoso musicista, peraltro estremamente schivo, che solo difficilmente accettava di comporre per il cinema. Così lo chiamarono, lo vollero conoscere, e da lì nacque un solido e duraturo rapporto Vides-Lux che consentì a mio padre di realizzare molti dei suoi film successivi» (M. Cristaldi, in R. Fiammetti, C. Recupito, P. Cirri, Op. cit.).
Protagonista del film è Oscar Navarro, poeta, critico letterario, cronista de “La Gazzetta del Popolo”, animatore culturale, professore di filosofia e preside del liceo privato Margara a Torino. Fino dagli anni Trenta egli fu una delle personalità di maggior spicco della cultura cittadina, molto legato ad intellettuali e artisti come «Umberto Mastroianni, […] Raf Vallone, Vincenzo Ciaffi, Albino Galvano, Piero Bargis, Louis Spazzapan e altri» (D. Zucaro, “Avanti!”, 11.12.1968). Collaborò alla stesura della sceneggiatura del film e soltanto dopo molte insistenze di Nelli e Cristaldi accettò di interpretare il ruolo del capitano Salviati, ma con lo pseudonimo di Sandro Isola (cognome della madre).
Subito dopo aver terminato questo film, Franco Cristaldi si trasferì a Roma, diventando uno dei più importanti produttori italiani insieme a registi come Fellini, Visconti, Monicelli, Emmer, Rosi e Germi.
«La pattuglia sperduta è uno di quei film che non smettono di riservare sorprese, anche perché è uno dei più bei film del dopoguerra italiano. Segna l’esordio nel lungometraggio di tre personaggi destinati a ricoprire un ruolo importante nel nostro cinema: il direttore della fotografia Alfieri Canavero, uno dei migliori specialisti in questa funzione nonché la memoria storica del cinema torinese; il regista Piero Nelli che raggiungerà punte di eccellenza nel documentario e nella televisione; e soprattutto il produttore Franco Cristaldi, l’uomo de I soliti ignoti e di Nuovo cinema paradiso. […] il film aveva dalla sua le musiche di Goffredo Petrassi, l’intellettuale torinese Oscar Navarro come interprete principale e risentiva in ogni suo passaggio di quel dibattito intellettuale che si sviluppava nella Torino del periodo attorno alla libreria Lattes e che si riversò quasi naturalmente in un film veramente straordinario. Più volte ci siamo occupati […] della lavorazione del film, svoltasi tra Carignano e Casale, con poche comparse e con i cannoni ricavati pitturando di nero alcuni tubi per le condotte. Ma i mezzi di fortuna non impedirono al film stesso di avere una sua identità precisa, concreta: una sorta di western psicologico, con il nemico che non si vede mai e le brume delle risaie, una piccola pattuglia che deve combattere gli austriaci […] ma intanto sta pensando a un mondo che cambia più rapidamente di quanto pensino i potenti, una natura brulla e scarna raccontata con una fotografia secca ed essenziale» (S. Della Casa, Un’opera da non dimenticare, “La Stampa – TorinoSette”).
«La pattuglia sperduta di Nelli si presenta come un'operazione degna di una certa considerazione, nonostante le molte ingenuità narrative e le evidenti discontinuità stilistiche. [...] Il fondamentale errore del film consiste in un mancato equilibrio dei diversi elementi che l'autore ha voluto trattare: ed è infatti evidente lo squilibrio tra una prima parte, la migliore di tono intimista e psicologico e prevalentemente descrittiva, ed una seconda, esteriormente orientata sui consueti motivi avventurosi. [...] Pure, nonostante le molte ingenuità, gli evidenti scompensi strutturali e i palesi squilibri di ritmo, il film è meritevole di una certa considerazione: per la presenza di sequenze decisamente felici (come la fuga del tenente nella notte, dagli esperti movimenti della camera e del serrato ritmo di montaggi; come l'invasione delle truppe austriache, narrata attraverso dettagli efficaci e ritorni di preciso effetto ritmico; come la fucilazione, dall'accorto impiego delle angolazioni e del taglio dell'inquadratura); per l'uso fin troppo scaltrito dei mezzi espressivi e per lo studio talora attento dei rapporti ritmici; per l'efficace impiego di interpreti non professionisti» (N. Ghelli, “Bianco e Nero” n. 7, luglio 1954).
Scheda a cura di
Franco Prono