Altri titoli: Oh, Grandmother’s Dead
Regia Mario Monicelli
Soggetto Luisa Montagnana
Sceneggiatura Luigi Malerba, Luisa Montagnana, Stefano Strucchi, Mario Monicelli
Fotografia Luigi Kuveiller
Musica originale Piero Piccioni
Montaggio Ruggero Mastroianni
Scenografia Paolo Tommasi
Costumi Paolo Tommasi
Aiuto regia Renzo Marignano
Interpreti Sirena Adgemova (Sparta), Carole André (Claretta), Wanda Capodaglio (Adelaide Ghia, la nonna), Peter Chatel (Guido), Valentina Cortese (Ornella), Luigi De Vittorio (Don Mario), Riccardo Garrone (Galeazzo), Vera Gherarducci (Gigliola), Raymond Lovelock (Carlo Alberto), Gastone Pescucci (Adolfo), Giorgio Piazza (Italo), Helen Ronée (Titina), Giordano Scolari (Carlo Maria), Sergio Tofano (nonno),
Produzione Franco Cristalli per Vides
Distribuzione Ceiad Columbia
Note Colore: Technicolor; altri interpreti: Bruno Alias, Bruno Bertocci, Mario Frescura, Claudio Trionfi, Carmine Torre, Giancarlo Rizzo, Pino Patti, Noè Paganotti, Giuseppe Marrocu, Giuseppina Cozzi, Gigi Bonos.
Sinossi
Mentre i parenti della defunta Adelaide cercano di impossessarsi della sua eredità eliminandosi a vicenda, il giovane nipote “contestatore” Carlo Alberto intrattiene un colloquio disinteressato con lo spirito della nonna. Alla fine proprio lui si trova padrone dell’azienda di famiglia, ma al posto delle bombolette spray preferisce produrre bombe per distruggere il sistema capitalistico…
Dichiarazioni
«L’idea di Toh, è morta la nonna era nata dalla volontà di sfuggire alla commedia all’italiana, così come dai film “nazional-popolari”. Volevo fare un film giallo. Il soggetto di Luisa Montagnana mi sembrava contenesse degli elementi bizzarri e umoristici: il delitto era commesso da una coppia di vecchi in una villa un po’ sinistra; c’era poi un rapporto quasi telepatico tra la monna morta e il nipote. Se l’avessi trattato con uno stile più semplice forse avrebbe avuto successo; io tentai di dargli invece un’originalità con uno stile inadatto» (M. Monicelli, L’arte della commedia, Dedalo, Bari, 1986).
«Commercialmente parlando questo film fu un disastro senza precedenti eppure a me piace molto per il modo in cui fu girato, a inquadrature fisse, come ai tempi del muto» (M. Monicelli, in F. Borghini, Mario Monicelli. Cinquant’anni di cinema, Master, Pisa, 1985).
«Sul Lago Maggiore c’era la casa di mio cugino, Alberto Mondadori, l’editore. Conoscevo bene quei posti e volevo una villa che fosse rappresentativa di una ricchezza ormai secolare ma che al tempo stesso contenesse qualche segnale di quella decadenza che la borghesia dell’epoca sembrava vivere in maniera irreversibile» (M. Monicelli, “La Stampa - TorinoSette”, 28.9.2007).
«Uno dei film meno noti di Mario Monicelli, il decano del cinema italiano […] è sicuramente Toh, è morta la nonna, un giallo rosa girato nel 1968 e sicuramente influenzato dal clima politico del periodo. Si tratta infatti di una […] storia ambientata in una famiglia altoborghese dove fa capolino il clima della contestazione (proprio come era avvenuto, in versione più drammatica, con I pugni in tasca di Marco Bellocchio). Il film era interamente girato in una villa sopra Stresa, sul Lago Maggiore» (S. Della Casa, “La Stampa - TorinoSette”, 28.9.2007).
«Quando […] nel 1969, Monicelli torna a rivolgere lo sguardo sulla famiglia italiana e non solo a partire dalle dinamiche di coppia, molte cose sono cambiate dentro e intorno a lui. La ventata iconoclasta del Sessantotto ha abbattuto numerosi miti dell'immaginarlo borghese occidentale, cominciando proprio con l'istituto familiare. Provando la necessità di radicalizzare il proprio approccio comico, ridefinendo soggetti e ambienti d'indagine e ricalibrando i toni in senso satirico e grottesco, Monicelli chiama intorno a sé una nuova squadra di sceneggiatori - Luisa Montagnana (autrice anche del soggetto), lo scrittore Luigi Malerba e Stefano Strucchi - spiazzando pubblico e critica con una commedia nerissima, Toh è morta la nonna!, che è anche un acuto saggio di regia neoespressionista. […] Con questo cinico e survoltato de profundis sulla famiglia italiana, Monicelli opera uno strappo sul piano ideologico, che non verrà più ricucito nella sua filmografia successiva: dagli anni Settanta in avanti, il discorso sulla famiglia, pur nelle declinazioni complesse che accerteremo, si mostra inscindibile da un altro elemento simbolico che viene via via crescendo di importanza, la presenza della morte» (L. De Franceschi, Lo sguardo eclettico. Il cinema di Mario Monicelli, Marsilio, Venezia, 2001).
«Anche Toh è morta la nonna! di Mario Monicelli si svolge all'insegna di un anticonformismo a uso e consumo dell'industria culturale, cioè effervescente e falso. II film è grazioso, ottimamente recitato da uno stuolo di attori e caratteristi che non hanno nulla da invidiare ai colleghi stranieri, spicca per un'eleganza formale che Monicelli, da qualche tempo, ha guadagnato e che conferisce al suo lavoro una nobiltà artigianale che è virtù assai rara nei nostri paraggi. A uno stile in punta di penna, Monicelli, nei suo ultimo film, aggiunge i sapori di un humour nero di scuola anglo-sassone, di fronte al quale ci si inchina con rispetto perché a lungo siamo stati afflitti da montagne di barzellette sceneggiate senza badare al succo. […] Lo spunto che sospinge il film è orecchiato, ma Monicelli lo ricama con mano leggera. Sarebbe bastato lasciarlo scorrere per il piacere di consegnare una storiella paradossale e fine a se stessa. E invece no! Gli sceneggiatori hanno brigato per infondervi implicazioni satiriche di carta velina, che non hanno giustificazione al di fuori dei tentativi di trasporre in moduli esteriori, consumistici e innocui, gli echi di un ribellismo anti-borghese» (M. Argentieri, “Rinascita” n. 42, 1909).
«Lo scriveva poco tempo fa Pasolini ad Arbasino, autore del pastiche intitolato SuperEliogabalo: si sa rider male. Forse, si vuol ridere, ma non si trova il giusto verso, quell'armonia per cui l'humour diventa un fatto esistenziale, una prova di vita, anche un atto di coraggio. […] Il film di Monicelli non fa ridere molto come del resto il precedente La ragazza con la pistola, per quanto abbastanza scorrevole, aveva tante delle caratteristiche sopra elencate: quella incapacità di alzarsi dal livello medio, e nello stesso tempo la pretesa di fare qualcosa di diverso, di acuto, di insolito e, quindi, di decisamente spassoso. Monicelli ha una vasta esperienza alle spalle, in materia, c'è stato un momento in cui era il non plus ultra, in Italia, in fatto di comicità, dato che da Comencini c'era da sperare a volte sì e a volte no, e che da altri non era il caso di pretendere l'impossibile. Il cinema è sempre una faccenda di costume e il costume è legato allo sviluppo sociale ed economico di un paese. In una nazione come la nostra, cresciuta, anzi gonfiata a dismisura, all'improvviso, come la rana della favola che vuol diventare bue, il comico è vincolato da una parte a pregiudizi (è il caso di dirlo) razziali, regionali: tanto è vero che un lombardo non capisce l'umorismo di un napoletano, e un romagnolo si dà quasi a coltellate con un toscano. […] Ma c'è riso e riso: questo dell'ultimo film di Monicelli mi sembra inutile, […] gratuito appunto perché non nato da una situazione sociale e politica che lo permetta. Un riso astratto. Quando Hawks fa le sue commedie sofisticate implica un sacco di problemi, di personaggi tipici. In questa villa descritta da Mario Monicelli ne succedono effettivamente di tutti i colori, ma si è nell'astratto, nel divertissement fine a se stesso, nell'anti-storia. Non è colpa di Monicelli. Manca una vera società borghese italiana. Dice Moravia: la borghesia italiana è quasi analfabeta. A giudicare dai film davanti ai quali si diverte, è forse il caso di dire che Moravia ha colto nel segno» (G. Turroni, “Bianco e Nero” nn. 11-12, 1969).
«Scarsamente riuscito sul piano dell'umorismo nero (per scarsità di cattiveria? per intrinseca refrattarietà degli italiani al “genere"?), l'ultimo film di Monicelli va ricordato perché il caso ha fatto sì che fosse distribuito quasi contemporaneamente alla Caduta degli dei di Luchino Visconti. Questa contemporaneità ha dato al film di Monicelli il sapore di una replica scherzosa al più impegnato lavoro del collega: anche questa è la storia di una famiglia di industriali (una fabbricava cannoni, l'altra, più modestamente, insetticidi); entrambe le famiglie sono travagliate dalle rivalità interne e dalla lotta per il potere, e in questa lotta entrambe le famiglie si dilaniano fino a distruggersi. L'analogia è sottile e non si sa fino a che punto intenzionale: dà solo un po' più di sapore al film di Monicelli, però non lo salva dalla mediocrità. Monicelli, di solito a suo agio coi temi satirici, è evidentemente stato tradito da un tema poco congeniale» (C.F. Venegoni, “Cinemasessanta” nn. 73-74, 1970).
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