Regia Davide Ferrario
Soggetto Davide Ferrario
Sceneggiatura Davide Ferrario
Fotografia Dante Cecchin
Musica originale Marlene Kuntz, Francesco Signa, Fabio Barovero, Gianni Maroccolo, Paolo Ciarchi
Suono Vito Martinelli
Montaggio Claudio Cormio
Scenografia Francesca Bocca
Costumi Paola Ronco
Aiuto regia Barbara Daniele
Interpreti Kasia Smutniak (Irena Mirkovic), Fabio Troiano (Libero Tarsitano), Gianluca Gobbi (don Iridio), Cristiano Godano (Cristiano), Luciana Littizzetto (suor Bonaria), Francesco Signa (Cecco), Paolo Ciarchi (Zingaro), Linda Messerlinker (segretaria del regista), Angela Vuolo (commessa), Christian Konabitè (operaio), Valentina Taricco (Pezzi), Ladis Zanini (poliziotto), Dante Cecchin (suonatore di organo), Riccardo Tesio (un musicista), Luca Bercia (un musicista), Kaas, Compagnia di danza GAP
Direttore di produzione Federico Mazzola
Produttore esecutivo stripslashes(Ladis Zanini)
Produzione Davide Ferrario per Rossofuoco, Fargo Film
Distribuzione Warner Bros. Pictures Italia
Note Altri interpreti: detenuti del carcere di Torino sezione VI, blocco A (Michele Telesca, Sergio Settimo, Enzo Cardinale, Salvatore Candelieri, Rodolfo Gottardo, Abdellatif Thairi, Domenico Uldanh, Sebastiano Pappalardo, Marco "Claudio" Trovato, Francesco Trovato, Sebastiano Baratta, Roberto Casti, Marco De Marchi, Giuseppe Ruggiero, Stefano Alvaro, Noureddine "Mimmo" Haffari, Salvatore Pagano, Claudio Barone, Antonio "Tony" Sassu, Franco Stellato), personale di custodia (Sovrintendente capo Salvatore Cannì, Ispettore capo Maurizio D'Angeli, Assistente capo Andrea Gifoli; coreografie: Laura Mazza.
Primo film girato in Italia con la telecamera ad alta definizione Genesis.
Locations: carcere delle Vallette, passerella olimpica del Lingotto, via Accademia delle Scienze, piazza Emanuele Filiberto, via Maria Vittoria, via delle Orfane
Primo film girato in Italia con la telecamera ad alta definizione Genesis.
Sinossi
Una regista teatrale d'avanguardia. Un direttore di carcere. Un cappellano che vuole mettere in scena una Passione. Venti detenuti che aspettano solo che il tempo passi... Quando Irena Mirkovic accetta di collaborare con don Iridio per la messa in scena in un istituto penitenziario di una paradossale "Passione Pasquale" non sa che quell'esperienza le cambierà la vita. Non solo perché l'incontro con il direttore del carcere Libero Tarsitano la spingerà a chiudere definitivamente la relazione con il suo fidanzato attore Cristiano, ma perché presto si troverà di fronte a un problema insolubile. Dopo aver conquistato la fiducia dei detenuti, Irena si rende conto che "dentro" nessuno è intenzionato a fare la parte di Giuda, per motivi che in un carcere sono chiari a tutti. Nonostante le sue insistenze, i "ragazzi" restano fermi nel loro rifiuto e inoltre c'è anche chi rema contro lo spettacolo: suor Bonaria, una religiosa inflessibile ma dotata anche di spirito molto pratico. La situazione si sblocca quando Irena ha un'illuminazione: se Giuda non si trova, perché non pensare alla storia di Gesù in un altro modo? Una storia che non preveda tradimento, condanna, punizione e morte? Una storia che finisca bene? I detenuti, pur non afferrando le implicazioni filosofiche, apprezzano la scelta: purché sia contro la galera...
Dichiarazioni
«Sono un ateo convinto e sereno. Dio, o il suo silenzio, è un problema che non mi angoscia minimamente, ma capisco il senso della religione come risposta alle mille domande della vita, anche se trovo assurdo che qualcuno possa alzarsi e dire di parlare in nome di Dio. Credo però che le religioni ci aiutino a vivere. […] Luciana Littizzetto è un'amica […], anche lei frequentatrice del carcere, una gran mangiapreti. Proprio per questo ho pensato di affidarle il ruolo di Suor Bonaria, con quell'abito e quelle battute è perfetta, apre lo spazio necessario a porsi domande sulla fede. […] Le prigioni sono sempre descritte come luoghi conflittuali, con detenuti mai belli e direttori laidi. In realtà le carceri finiscono per essere piccole città, in questo momento alle Vallette ci sono 1.600 reclusi, ma sulla carta lo spazio sarebbe per 900, in più bisogna aggiungerci gli agenti, insomma, un modo per andare avanti ogni giorno bisogna trovarlo, non si può fare sempre la guerra» (D. Ferrario, “La Stampa”, 2.4.2009).
«[…] se Tutta colpa di Giuda ha un'ambizione (forse un merito) è quello di parlare di massimi sistemi con la leggerezza di una “commedia con musica”. Leggerezza, naturalmente, non vuol dire superficialità. […] io in carcere ci vado da otto anni come volontario. Segnatamente, da cinque anni frequento la sezione Prometeo delle Vallette (o per dirla istituzionalmente, la Casa Circondariale “Lorusso e Cutugno”): della galera ho una conoscenza di prima mano. La scommessa del film parte da qui, dalla mescolanza di elementi apparentemente inaccostabili: da una parte la religione e il musical; dall'altra attori come Kasia Smutniak, Fabio Troiano, Gianluca Gobbi e - in un ruolo piccolo ma salace - Luciana Littizzetto insieme con venti detenuti veri che cantano e ballano e con una rockstar come Cristiano Godano dei Marlene Kuntz; e, infine, una location malinconica come il carcere narrata con un tono da commedia surreale» (D. Ferrario, “La Stampa - TorinoSette”, 3.4.2009).
«Sembra paradossale, ma qui dentro mi sono sentita libera. Per un mese i miei problemi quotidiani sono rimasti oltre il cancello che si chiudeva ogni giorno dietro di me. Niente cellulari. È stato come essere in un'isola felice» (K. Smutniak, “La Stampa”, 4.4.2009).
«È la prima volta che mi capita di essere chiamato a impersonare un personaggio in un film: e il regista che ha determinato per me questo nuovo primato è Davide Ferrario, che mi ha immaginato fidanzato ideale (oh, solo nella finzione!) della bella Kasia Smutniak. […] E fatico a lasciar dire a chi mi intervista “Come ti sei trovato a far l'attore nel nuovo film di Davide Ferrario?”: a tale domanda metto le mani avanti e racconto più che altro che a dispetto dei miei timori (la paura di non saper trovare nessuna vena istrionica in me e la paura di annoiarmi terribilmente su un set cinematografico) mi sono ritrovato divertito e “gigione” a fare le mie parti con una nonchalance che mai avrei ardito pronosticare. Sicché: come è stato lavorare per Tutta colpa di Giuda? Divertentissimo, perbacco! Eccitante! Stimolante! Inebriante! Ai Marlene Kuntz è stato poi chiesto di poter utilizzare alcune cose del loro repertorio e di comporre un inedito: ne è venuta fuori una ballad dal titolo Canzone in prigione, dove provo a dar voce alle amare consapevolezze di un carcerato ideale e un po' acculturato, mestamente conscio delle sue colpe ma inacidito da quelle dei consessi sociali, che spesso rinchiudono nella istituzione-carcere i fantasmi delle proprie mancanze. Musicalmente la canzone è tanto lineare e semplice quanto ammiccante, con il suo groove discreto ed efficace. Per quel che mi riguarda un pezzo delicato e struggente» (C. Godano, “La Stampa - TorinoSette”, 3.4.2009).
«Davide Ferrario è tornato. Negli ultimi anni ha frequentato le carceri di Milano e Torino, inizialmente per tenere un corso di montaggio professionale che poi si è trasformato in qualcosa di più e qualcosa di meno di un film. Di più, perché la ricchezza umana ed emozionale che fuoriesce da Tutta colpa di Giuda è incommensurabile, travalica il puro dato estetico e ogni valutazione strettamente critica, tanto più se si considerano le condizioni produttive che il regista ha affrontato in quest'ultima esperienza filmica. Non scriviamo “film" perché Ferrario, che non venera la forma compiuta tradizionalmente cinematografica, da sempre non teme di sperimentare e anche sbagliare. Ecco perché Tutta colpa di Giuda […] è un'opera coraggiosa che usa tecniche miste, musiche tra loro apparentemente incongruenti (i Marlene Kuntz insieme alle ballate carcerarie di Cecco Signa), attori professionisti e veri detenuti, fiction e documentario, perfino un lampo d'animazione. E la forma musical come traccia, contenitore vuoto da colmare in maniera rapsodica, con l’improvvisazione, senza una sceneggiatura da seguire alla lettera. Un film da vedere anche perché, dopo anni in cui s'inneggia al digitale come strumento di emancipazione dalle logiche produttive del cinema “grande", Ferrario è uno dei pochi che lo applica con sensatezza» (R. Giancristofaro, in “Duel” n. 51, aprile 2009).
«Un film scritto con la cinepresa, dove i movimenti di macchina e le immagini svolgono i compiti normalmente affidati al copione. Sono l'immediatezza, l'autenticità, il coinvolgimento, i pregi maggiori di un film dalla struttura corale, che colpisce perché fa esplodere l’energia compressa di un gruppo di autentici detenuti del carcere "Le Vallette" di Torino. Ma non si pensi ad un documentario: Tutta colpa di Giuda è un curioso, rischioso e riuscitissimo esperimento fra commedia e musical, che racconta la genesi di uno spettacolo teatrale, basato sulla passione di Gesù, che una giovane regista, impersonata da Kasia Smutniak, il più bel volto del cinema italiano di oggi, mette in scena all'interno del carcere. Nonostante l'ambientazione, si parla più di religione, del conflitto fra fede e ragione, piuttosto che di problemi carcerari, e c'è perfino spazio per una imprevedibile storia d'amore fra la protagonista e il direttore del carcere. Insomma, per una volta, il massimo di realismo con gli attori, che a parte un quartetto di professionisti sono interpreti improvvisati che recitano se stessi, viene utilizzato per ottenere il massimo di finzione. Un procedimento apparentemente paradossale, di grande effetto» (F. Montini, in “Rivista del Cinematografo” n. 4, aprile 2009).
«Non c'è che dire,Giuda non è mai stato molto popolare, tanto meno dietro le mura di un carcere... Ma da qui ad affermare che sia davvero Tutta colpa di Giuda (è il titolo del film-"commedia con musiche" di Davide Ferrario) ce ne corre: perché in quella prigione di Torino, dove la pellicola è stata girata, mettendo insieme attori professionisti e detenuti, si racconta una storia diversa. La storia di una Passione in cui l'accento viene posto sulla voglia di vivere. Una Passione blasfema, se volete, oltre la Croce. Una Passione in cui tutti vorrebbero interpretare il ruolo di Gesù, ma nessuno quello di Giuda. A organizzare la rappresentazione, fortemente voluta (ma in ben altro modo...) dal padre cappellano, è una giovane attrice-regista originaria della Serbia, sopravvissuta ai bombardamenti Nato del '99. Il suo desiderio è comunicare ai detenuti un senso perduto, una vitalità che si è persa dietro le sbarre. Si lavora, si litiga, si canta e si balla. Ma poi, sul più bello, arriva l'agognato indulto,e gli attori se ne vanno,ognuno per la sua strada, prima ancora della recita ufficiale. E la Passione senza Croce e senza Giuda? Pazienza, l'importante è provarci» (L. Paini, “Il Sole-24 Ore”, 19.4.2009).
«Bravi, tutti, carcerati compresi, in principio impacciati come da copione, poi sempre più animati e flessibili, a mano a mano che la rappresentazione della Passione si trasforma in una danza liberatoria in cui manca Giuda, “perché Giuda è un infame”. Tutto è partito senza un vero copione, una quindicina di paginette abbozzate, ma Ferrario è uno che alle Vallette è quasi di casa, volontario tra laboratori audiovisivi e piccole produzioni. “Siamo tutti consapevoli che qui è una specie di discarica sociale. Sei in una condizione limite, da cui esce il meglio e il peggio di te stesso - dice il regista -, ma non è una condizione di conflitto guardie contro ladri, piuttosto un luogo di mediazione. Questa è la sezione Prometeo, sperimentale, delinquenti di piccolo calibro, quasi tutti con problemi di droga. Ero pronto a girare già nel 2006, poi arrivò l'indulto e quell'agosto ci ritrovammo soltanto io e l'unico ergastolano... Ho impiegato un anno a rifare un gruppo”» (C. Ferrero, “La Stampa”, 4.4.2009)
«Tutta colpa di Giuda è un film laico non solo - come vedremo - rispetto al tema scottante delle fede, ma anche rispetto all'attività di volontariato in carcere, che Ferrario conosce bene grazie alle frequentazioni al San Vittore di Milano e proprio alle Vallette, dove tiene un laboratorio di produzione audiovisiva. […] Ferrario non è un teologo, né è rimasto folgorato sulla via di Damasco. Però coglie bene la natura conflittuale della fede e l'incapacità dell'uomo di comprendere la sofferenza. Traduce questa domanda in forma di cinema, ma senza sceneggiatura, come nel fortunato Dopo mezzanotte (2004). In primo luogo gioca, poggiandosi sulla sua esperienza di documentarista, sul corto circuito fra realtà e finzione. […] L'elemento stilisticamente più interessante è proprio la giustapposizione di immagini video realizzate con mini dv e immagini ad alta definizione. Le prime, innestate al corpo del film con il pretesto di realizzare interviste volanti ai detenuti sulla loro condizione, fungono da testimonianza dell'esperienza, con il consueto effetto live un po' sporco, anche se poi la pioggia (vera) sul set ha quasi imposto questa soluzione per passaggi che si riveleranno cruciali. […] Le seconde sono utilizzate invece per raccontare le prove dello spettacolo e le relazioni di Irena con il fidanzato poi mollato, con don Iridio, con l'inflessibile ma pragmatica suor Bonaria e soprattutto con il giovane direttore del carcere Libero Tarsitano, figura quest'ultima ispirata a Luigi Pagano, ex direttore del carcere di San Vittore a Milano. L'impiego della costosa Genesis della Panavision è stato deciso per assicurare qualità visiva in un contesto di ripresa che non si poteva governare completamente per evidenti motivi legati al regolamento del carcere. La soluzione ibrida. per quanto ovvia, unita al piglio della commedia, ai momenti musical e alla colonna sonora sempre funzionale e mai divagante, conferisce il ritmo giusto al film rendendolo leggero e piacevole» (A. D'Aloia, “Segnocinema” n. 157, maggio-giugno 2009).
«[…] un film che parla di carcere e di religione oggi in Italia, di garantismo e di giustizialismo, di giustizia divina , o meglio dogmatica e di stato, di quel fatto personale che è o dovrebbe essere dio. E lo fa col tono giusto, scanzonato e in leggerezza, senza appesantire né sottolineare con la retorica dei Grandi Temi (che mica produce maggior spessore), giocando invece tra finzione e documentario, storia d'amore e storie di galera, prove teatrali e canzoni (dei Marlene Kuntz). Una scommessa alta quella di Davide Ferrario che maneggia con sicurezza sensibile da “ateo convinto” - così si definisce - e da chi, come lui, ha lavorato per anni in carcere, facendo laboratori a San Vittore a Milano e a alle Vallette di Torino, dove è ambientato anche questo film. Cosa che gli permette di evitare banalità e luoghi comuni nel ritratto dei detenuti di cui delinea i “codici” con precisione, come in quello del direttore di carcere […], napoletano, democratico, ironico (si chiama pure Libero) col marasma e l'indifferenza istituzionale quotidiani - il carcere, ripete spesso, serve per mettere la polvere sotto al tappeto. Però Tutta colpa di Giuda non vuole essere un film “sul” carcere. È che questo connubio di pena e redenzione bene si intreccia al tema religioso che Ferrario dispiega, e difficilmente sarebbe stato pensabile un set diverso che producesse la stessa forza. […] Irena […], la regista, che arriva da Belgrado e la sera del suo saggio di diploma la Nato ha bombardato il teatro, si getta nella lettura dei Vangeli scoprendo un'immagine di Cristo molto poco vicina a quella prevalente, un Cristo ossessivo, non buonissimo, tutto preso dalla missione di redimere un mondo che per lui neppure esiste. Il prete […] la rimprovera, ma non è il solo problema: chi sarà Giuda nello spettacolo? Certo nessun detenuto accetterà mai di interpretarlo. “Cosa pensi quando dico passione?” chiede a un certo punto Irena ai detenuti-attori. La domanda è un po' il cuore profondo del film, perché dici passione e pensi a desiderio, a rabbia, a voglia di libertà visto che siamo in una galera. Non pensi a Cristo e alla sua croce, pure se tutti i detenuti un poco ci si sentono. Ferrario si muove con delicatezza nella trama dei sentimenti quotidiani e in quella della finzione che spesso si confondono […]. Dei detenuti non sappiamo quasi nulla, chi sono e perché sono lì. Il loro privato resta fuoricampo, balena nelle immagini minidv dello stesso Ferrario e di Antonella Grieco , in quel loro esserci e dimostrare comunque che la galera non serve a nulla. Come le prediche dei preti che pretendono di controllare la vita delle persone. Ferrario ce lo dice con chiarezza usando la “commedia con musica”, che un vero e proprio musical Tutta colpa di Giuda non è visto che nessuno smette di parlare. […] È un bel film Tutta colpa di Giuda, dinamico e miscelato con sapienza anche dove funziona meno. Forse perché Ferrario è cinefilo ma vuole anche essere “popolare”, e sa bene che le due cose insieme sono potenti come un'arma. Specie se si guarda il presente» (C. Piccino, “il manifesto”, 10.4.2009).
«Signora mia, non ci sono più i Venerdì santo di una volta, quando si sentiva Bach in radio, al cinema c'era al massimo Bernadette. Oggi esce Tutta colpa di Giuda, girato da Davide Ferrario al carcere Le Vallette a Torino (lo conosce bene per cause artistiche). Apparentemente sembra un film irrispettoso ma invece è il contrario, perché l'autore, a parte gli attori ben scelti, si fida e s' affida ai detenuti rischiando di suo e della superstar della cine commissione, quella del Piemonte. Opera sorprendente, di straordinaria libertà visiva intellettuale, un ibrido di generi. Film carcerario, ma anche musical alla Jesus Christ, storia di training teatrale autogeno in cui una miscredente regista off off (brava, tosta e bella Kasia Smutniak) prova ad allestire coi carcerati attori, ed è vero, una Passione (ecco la concomitanza) danzando perfino aerea sulla Croce. Ma nessuno dei bravi ragazzi vuole il ruolo di Giuda, urge un lieto fine per i testi sacri, senza tradimenti, processo e condanne, contro il cappellano timorato […]. Ferrario ha lavorato sulle sue esperienze in carcere, dove spesso ora il teatro ha il suo spazio (i progetti di Volterra e della Pomodoro) e nel ribaltamento di prospettiva, religiosa, sociale e musicale, il film sembra ma non è improvvisato. Trova una spontanea unicità paradossale, molto corporeo-visiva, divertente e non drammatica, coi carcerati che passano da una Emma Dante a una Pina Bausch. Nasce così un fatto speciale sul set (l'indulto ha mutato l' intero cast) coi ragazzi dalla pena leggera che, aiutati dalla bella colonna sonora, diventano ballerini rischiando parolacce by night improvvisando vita, rimorsi e dolori e trovando finalmente un' alternativa a se stessi. Così un film pop ateo acquista una dimensione oltre ed altra per merito di un gesto autentico di fiducia» (M. Porro, “Corriere della Sera”, 10.4.2009).
«Antico quanto il cinema, il genere carcerario di rado incrocia generi forti come musical e documentario. A tentare il salto mortale è Davide Ferrario, non nuovo a film-scommessa (come l'eccellente Dopo mezzanotte), che qui usa l'occasione "penitenziaria" per riflettere proprio su questo. Sulla libertà sempre condizionata di cui gode un regista. Sul contratto che lega un autore agli attori che sceglie e dirige (e da cui viene scelto e diretto, se è un bravo regista). E naturalmente su cosa accada a questa libertà in un luogo come il carcere. In Tutta colpa di Giuda il gioco è ancora più complicato perché a dirigere una Passione con attori-detenuti, su mandato del parroco delle Vallette di Torino, è una regista serba (trascinante Kasia Smutniak). Irena però di Vangeli mastica pochino, i detenuti non sono disposti a cantare e ballare all'americana né a farsi docilmente "pasoliniani" come vorrebbe il prete. E poi il nome stesso di Giuda è tabù in carcere. Di qui la sfida di Irena: trovare il loro Gesù, abolendo il tradimento. Un paradosso che genera un curioso mix di vitalità e malinconia, spontaneità e calcolo, prevedibilità e sorpresa. Come tutto questo film che mescola veri detenuti, cantanti e star tv (suor Littizzetto). Sarebbe bello se fosse una traccia. Per un film in grande stile che nessuno oserà mai fare» (F. Ferzetti, “Il Messaggero”, 10.4.2009).
«Due cose […] si segnalano subito di Tutta colpa di Giuda. La particolarità dell'ambientazione reale (ma dentro a un caso quantomai anomalo di "cinema-verità", contaminato addirittura con il musical cantato, coreografato, ballato); la cui riuscita deve molto all' esperienza accumulata da Ferrario nel tenere da una decina di anni corsi di formazione professionale prima a San Vittore e poi alle Vallette. Ciò che gli permette di avere e trasmettere una percezione molto vera della vita dentro l'universo carcerario, compresa quella degli operatori ad esso addetti. La seconda cosa che si fa subito notare è […] la scommessa riuscita dell'amalgama tra attori di mestiere e attori dilettanti e improvvisati. Ferrario immagina, con autoironica citazione della propria esperienza, una regista teatrale d'avanguardia giovane e carina e non italiana (Smutniak) che accetta l' incarico di allestire con un gruppo di detenuti una recita pasquale che ha per tema la Passione di Gesù. […] Ma Irena (è il nome della regista) trova davanti a sé uno scoglio tanto decisivo quanto paradossale, comico e infine liberatorio: la obbliga a liberarsi di diaframmi, sovrastrutture e grilli "artistici" per la testa. Nessuno in quel contesto, assolutamente nessuno è disposto a recitare il ruolo di Giuda. Perché allora, si dice Irena a partire da qui, non immaginare una storia di Gesù "alternativa"? Senza il tradimento, senza l'espiazione, senza la morte? I colpi di scena non vanno svelati ma è facile immaginare che non l' esito ma il percorso è ciò che veramente conta per tutti i partecipanti all' impresa. Qualcuno potrà dire che la carne al fuoco è tanta o troppa rispetto a una struttura così leggera. Ma il suggerimento e la suggestione sono emozionanti» (P. D’Agostini, “la Repubblica”, 10.4.2009).
«Nessuno vuole infilarsi nei panni di Giuda, il più famoso "infame" dell'umanità. Partendo da una sua esperienza di vita (insegna cinema in galera), Ferrario costruisce un dramma lucido e accorato. Peccato che ci infili dentro un inutile amore (fra la bella regista e il direttore) e che sbagli qualche personaggio (la perfida suor Littizzetto). Resta all'attivo la voglia di raccontare, senza indulgente retorica, un mondo a parte, triste e finale» (C. Carabba, “Corriere della sera Magazine”, 16.4.2009).
«“La galera è come la recita a teatro, facciamo tutti finta”. È una delle prime battute di Tutta colpa di Giuda, il nuovo film di Davide Ferrario, una commedia con musica. Non un film sul carcere, come tiene a sottolineare lo stesso autore, ma un film “nel” carcere, quello di Torino, per essere precisi, che fa da sfondo alla storia esattamente come la Mole Antonelliana faceva da sfondo a Dopo mezzanotte, altro gioiello del regista torinese. […] Capiamo allora fin da subito che ad andare in scena, nella finzione del teatro, è la Passione di Cristo. Ma questa non fa altro che rispecchiare la Passione dell’uomo. C’è un filo sottile che lega le due cose: il concetto cattolico di Penitenziario, nato nel Settecento, che basava la reclusione sull’idea cristiana di “penitenza”, presuppone un luogo nel quale si entra per espiare e venire mondati. Ed è la stessa Costituzione che prevede per il carcere una funzione di riabilitazione e reinserimento. Cosa che, come è noto, non accade quasi mai. Per questo nessuno vuole fare Giuda. Per questo sognano un mondo senza dolore, senza croce, senza Giuda, senza tradimento. Ed è proprio questa mancanza di speranza, questa idea del carcere come Passione senza redenzione, che possiamo ritrovare nei volti e nella parole dei veri detenuti che affiancano gli attori professionisti. E ai quali il metodo di lavoro libero di Ferrario, che non segue una vera e propria sceneggiatura, dà voce: molte delle battute, spassose, sono loro. Ed è un continuo alternarsi tra cultura alta e cultura popolare, tra la poesia e il reale. […] Ne esce un film pieno di vita, una commedia con musica […] che non è un vero e proprio musical dove i personaggi si mettono a cantare senza ragione. Qui le musiche e i canti fanno parte dello spettacolo che deve andare in scena. […] Ma il film di Ferrario è interessante a ogni livello, per ogni scelta di regia: dagli inserti di animazione alle scelte mai banali di montaggio, come quella che alterna sapientemente le immagini di Cristo in croce a quelle del carcere, con le chitarre lancinanti dei Marlene Kuntz a fare da contrappunto sonoro. Cristo soffre e le chitarre sanguinano» (M. Ermisino, www.effettonotteonline.com).
«Davide Ferrario realizza un film importante per il cinema italiano. Un film “nel” carcere e non “sul” carcere come egli stesso ama sottolineare. Da ateo convinto Ferrario non rinuncia ad interrogarsi sul senso profondo della religione e sulle risposte che in essa gran parte dell'umanità cerca. Consapevolmente o no prende le mosse da quanto dice Gesù nel Vangelo di Matteo: “ero carcerato e siete venuti a trovarmi.” Ferrario opera nelle carceri da un decennio circa ma lo fa lontano dai riflettori, con pudore. Qui “va a trovare i carcerati” in piena luce non per suscitare un pietismo ipocrita, offrendo invece l'occasione alla ventina di detenuti della sezione VI, blocco A della Casa Circondariale “Lo Russo e Cutugno” di Torino per confrontarsi con un complesso lavoro di messa in scena e con una domanda: è possibile evitare il negativo della vita, ciò che ti trascina in basso, è indispensabile sprofondare in ciò che ti annulla per poi poter rinascere? Si può pensare a un colpevole senza il carcere e, più filosoficamente, a un Cristo senza la Croce? Mel Gibson risponderebbe di no. […] Ecco allora che Irena e i suoi “attori/cantanti”, in questo Jesus Christ dietro le sbarre (che si vedono però volutamente molto poco dopo la prima inquadratura), possono pensare che la Croce possa essere evitata. Gesù nell'orto degli Ulivi dice “Padre, se vuoi, allontana da me questo calice di dolore“(Lc, 22, 42). Se don Iridio, che si scandalizza dinanzi all' idea di Irena, avesse pensato a questo passo del Vangelo, si sarebbe accorto che lo stesso Messia ha avuto, come vero uomo, il desiderio di poter evitare il tradimento di Giuda (e la conseguente sofferenza e morte) proprio poco prima che tutto accadesse. Il sacerdote aveva chiesto alla regista di puntare sull'umanità di Cristo. Irena lo ha fatto. Perché solo a partire da lì si può cominciare a sperare e la Croce può trasformarsi in una rampa di lancio verso un mistero a cui ognuno di noi tenta di dare una spiegazione» (E. Ponti, www.lalineadellocchio.it).
«Qual è il messaggio di questo film blasfemo? Davide Ferrario è ateo, e vuole che tutti diventano atei come lui. Quindi con la scusa del musical Jesus Christ recitato dai detenuti, e con l'invenzione tutta falsa che nessun carcerato vuole fare la parte di Giuda, Ferrario si sente libero di cambiare Gesù e il vangelo, quindi non c'è tradimento e morte. Ora questa fantasia blasfema che utilità ha? È una fantasia-spazzatura delle peggiori, anti-storica e anti-cristiana. Noi credenti e chi ancora non crede non abbiamo bisogno di Gesù e vangeli inventati da atei come Ferrario, ma di storia e certezze, di religione e santi insegnamenti, che solo il Nuovo Testamento può darci. Ancora, il film è nelle sale a Pasqua, ed è proprio una bestemmia contro la S. Pasqua, infatti, in quest'opera blasfema non c'è la morte e la risurrezione di Gesù, che bravi!»
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