Ugo Nespolo si ispira in Un supermaschio ad Alfred Jarry nella misura in cui si impegna «a far rivivere lo spirito irridente, graffiante e anticonformistico dell’autore di Ubu roi. Il film è meno aggressivo dei testi di Jarry, ma effettua nuove intersezioni con il mondo dell’arte, ricreando una sorta di teatrino erotico cerimoniale, sviluppato in uno spazio che allude alla factory warholiana. Nespolo allestisce uno scenario rituale, arricchito da citazioni e allusività, che sottraggono metodicamente credibilità alla rappresentazione, e introduce al centro della visione una grande testa di Beuys che si pone come simulacro artistico per eccellenza. Il risultato è una sorta di scenario rituale che si fa conte philosophique, apologo che parla di erotismo per parlare di arte e di poetiche della contemporaneità» (P. Bertetto, in D. Bracco, S. Della Casa, P. Manera, F. Prono, a cura, Torino città del cinema, Il Castoro, Milano, 2001).
La sessualità è utilizzata per rappresentare in maniera estremizzata, e dunque grottesca, l’esperienza artistica. L’opera utilizzata dal regista a tal fine è una testa umana creata da Joseph Beuys nel 1975. Questa testa, «realizzata in cartapesta e vetro, è l’elemento feticisticamente trainante di Un supermaschio, il cortometraggio di quell’anno; ma è anche la scultura tipica di un autore che ama andare controcorrente, rivolgendosi a una ispirazione che tiene conto di alcuni riti, ma non dell’intangibilità dei miti. In quel momento, Beuys è un’istituzione intoccabile per l’ufficialità dell’arte, e pertanto diviene i riflesso una preda appetibile per gli impulsi dissacratori del Nostro» (Luciano Caprile, in Nespolo, Art’è, Villanova di Castenaso, 2003).
Pertanto anche con questo film Nespolo intende esplicitare il suo legame con la cultura anticonformista e trasgressiva, già manifestato con i lavori precedenti. Il ricorso al grottesco è introdotto fin dal titolo, che rimanda ad un’opera di Alfred Jarry (uno dei fondatori del teatro dell’assurdo), a cui Nespolo dichiara di essersi ispirato per questo suo cortometraggio.
La città in cui è ambientato il film, Torino, si contrappone alla casa del protagonista - «una factory warholiana, rivisitata da Nespolo e trasformata in una sorta di palcoscenico erotico» (S. Della Casa, Ibidem). Con la sua concentrazione urbana e le sue colline, Torino «sembra fluttuare nello spazio, ritagliata continuamente con violenza nella memoria» (Janus, Ibidem).
Il parco d’attrazioni sembra inserirsi come spazio giocoso in una città moralistica e severa, laddove invece la “tana” del supermaschio è, ancora secondo Janus, «un’altra città con i suoi simboli di lusso, con la statua di Buddha che vorrebbe suggerirci una cultura differente (e una felicità differente) con i broccati lussuosi che addobbano tutti i personaggi, con mobili antichi, con oggetti molto raffinati, - una città delicata e decadente capace di produrre altre smorfie, altri sberleffi» (Janus, Ibidem).
«Nespolo parte dall'analisi di una giornata banale per arrivare alla elaborazione di una fantasia ossessiva che supera la pratica di una perversine ormai normalizzata e socializzata. Oscillando tra immagini patetiche e desideri sfrenati, il racconto eccentrico di Nespolo segna i luoghi di una realtà violenta anche contro l'immaginazione, contro i più liberi fantasmi. La qualità ottica della scena dl Supermaschio sottolnea il carattere onirico di una fantasticheria, che non è solo desiderio, ma anche paura e rivolta» (V. Fagone, in Nespolo Cinema. Time After Time, Museo Nazionale del Cinema, Torino - Il Castoro, Milano, 2008).
«In Un Supermaschio, che poteva essere un film facilmente "scandaloso", si usa addirittura la voce fuori campo, che dovrebbe essere la forma di commento più aborrita dagli sperimentatori formatisi con il New American Cinema, in quanto la parola viene a prevalere sull'immagine, sull'occhio-dio che è il vero fondamento di quella nuova estetica del cinema e delle arti» (S. Della Casa, Ibidem).
«I "tormenti" del "superuomo" (e del suo autore) finiscono nel momento in cui trova il "totem" (un rimando a Freud, letto alla rovescia?) delle sue fantasie inconsce e libera la sua omosessualità. Ma siccome nel film si dice he il "superuomo" era il migliore che la società dei "normali" avesse, "caduto" lui, si estingue tutta una "specie". Inutile, quindi, la condanna a morte che gli ultimi residuati della "specie al tramonto" eseguono. Il "diverso" muore assassinato ma, come per l'indiano d'America, di cui in una rapida successione di dissolvenze veste i panni, l'autore può asserire che la storia è dalla sua pate» (L. Termine, "Cinema Nuovo" n. 242, luglio-agosto 1976).