«Film d’artista interpretato da artisti come Baj, Fontana e Volpini, secondo una tradizione elettiva del cinema avanguardia, che ricorre a pittori, musicisti e scrittori, […] La galante avventura del cavaliere dal lieto volto intreccia una rievocazione ironica e grottesca di un improbabile Risorgimento con i giochi, i paradossi e le ironie perpetrate da Nespolo con la complicità stralunata degli artisti amici. Il movimento frenetico dei personaggi, i gesti velocissimi, le azioni disordinate e inutili creano un ritmo rapido e incalzante, che realizza un grande paradosso visivo» (P. Bertetto, in D. Bracco, S. Della Casa, P. Manera, F. Prono, a cura, Torino città del cinema, Il Castoro, Milano, 2001).
Il film è dunque sottoposto da Ugo Nespolo ad un montaggio serrato che giustappone le immagini con una velocità frenetica che ricorda le comiche di Ridolini. Ma la sperimentazione linguistica va ben oltre: egli utilizza infatti lo scatto singolo, l‘accelerazione, la sovrimpressione; opera direttamente sulla pellicola producendo graffi, macchie, disegni. «È come se l’immagine avesse un surplus di qualificazione visiva: oltre all’oggetto ripreso, una mobilità supplementare e incontrollabile di segni elaborati o di graffiti grezzi in libertà si stende sulla superficie visibile, creando una sorta di balletto irragionevole» (Ibidem).
Il rapporto fra il modo in cui Nespolo si esprime con la pittura e questo modo di fare cinema è evidente: «L’attività di Nespolo come film-maker appare conseguenza quasi ovvia del rapporto di contiguità e continuità che esiste tra cinema e pittura. In entrambi i casi, la motivazione sottostante è quella di esplorare le potenzialità dell’immagine in funzione di una narrazione che si compone per addizione di frammenti, secondo una sintassi autonoma rispetto al racconto di parole, e a parole. Operazione che non impedisce lo svolgimento di una trama più o meno esplicita, ma che si qualifica soprattutto nel gioco serissimo di ricomposizione dei materiali depositati nei frame della pellicola come nelle tessere con cui Nespolo forma i suoi puzzle pittorici» (Fabio Lazzari, in Nespolo, Art’è, Villanova di Castenaso, 2003).
«Girato nella campagna lombarda, il film mima un racconto dissacrante che spiazza in direzioni imprevedibili "la piccola vedetta lombarda" deamicisiana, mette in scena Baj, Fontana, Volpini in atteggiamenti che ricordano situazioni dei film surrealisti. L'artista è qui nel gioco, è persona del gioco, il cinema si muove per immagini taglienti, accostate con brusca tensione: figuratività e operatività risultano bilanciate dentro immagini vistose nelle quali Baj e Fontana sono compiutamente riconoscibili» (V. Fagone, in Nespolo Cinema Time After Time, Museo Nazionale del Cinema, Torino - Il Castoro, Milano, 2008).