In Con-certo rituale la trama ha un ruolo pressoché nullo. Non c’è dialogo, ma solo una musica over. I gesti, i movimenti, le azioni dei personaggi sono astratti, slegati dalla pratica quotidiana: «Sembrano rituali vuoti, forme di un teatrino grottesco e sofisticato al tempo stesso, cerimonie che non conoscono neppure la propria ragione intrinseca. La scena degli artisti, evocata con Baj e Piacentino, pare sul punto di rilevare una vacuità segreta, una frustazione radicata. Dai gesti non escono opere, ma solo vaghi progetti senza costrutto, manie soggettive che non comunicano nulla» (P. Bertetto, in Nespolo, Art’è, Villanova di Castenaso, 2003).
Questo cortometraggio pare veramente un gioco chiuso in se stesso, come se al suo interno contenesse vecchie scatole magiche cinesi che si aprono e si chiudono meccanicamente. Potremmo definirlo un «film-armadio, […] costituito da un gran numero di piccoli e di grandi cassetti da cui spuntano frammenti di immagini, frammenti di fotografie, frammenti di movimenti, fili di seta, nastri, intimo femminile un po’ in disordine, pezzi di carte, capezzoli maliziosi, occhi un po’ stravolti» (Janus, Ibidem).
I personaggi non sono chiamati a far procedere l’intreccio narrativo, hanno quindi un ruolo puramente simbolico, sono maschere grottesche che ruotano in una danza di dannati, simile ad uno di quei “balletti meccanici” che venivano messi in scena dai dadaisti e dai surrealisti all’inizio del Novecento. Questi personaggi rappresentano «alcuni dei luoghi comuni visivi più ricorrenti nel cinema a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta: il nudo posteriore “preraffaellita” femminile, la falce e il martello, i fedayn. Appaiono, ma al tempo stesso sono decontestualizzati, risultano come un catalogo di possibilità, più che come gli elementi sui quali costruire il senso vero del racconto: proprio come il gioco della cavallina che sembra appassionare i protagonisti del film» (S. Della Casa, Ibidem).
Enrico Baj è il “mago” che fa scomparire tutti (anche se stesso) nel finale. È questa la seconda volta che il grande pittore viene coinvolto da Nespolo in un suo film e ricorda il grande impegno con cui preparò l propria performance: «[Nespolo] mi pregò anche di far l’attore per lui, come accadde in una particina accanto a Lucio Fontana, che voleva sfottere quella grande igienista di mia suocera ne La galante avventura del cavaliere dal lieto volto, cui seguì per me il ben maggiore impegno di interpretare il Mago in Con-certo rituale arcaico. Quest’ultima interpretazione risultò particolarmente gravosa, dovendo io rifarmi culturalmente, per superarlo, immedesimandomi nel ruolo di quel tal “mago” introdotto da René Clair in Entr’acte, studiandone quindi a menadito la parte e il d‘après che ne avrei fatto. Insisté ancora nel cinema con Un supermaschio, radunandovi attorno un mucchio di bellissime dame spudorate» (E. Baj, Ibidem).
«In Con-certo rituale il gioco delle immagini per sommatoria e brusche sottrazioni stabilisce un ritmo narrativo veloce e trasmutante, come in una sorta di movimento circolare. In questa giostra sfrenata si muovono riconoscibili i personaggi di un'avanguardia internazionale ormai ridotti a stereotipi. Il gioco di Nespolo si è incattivito, diventa tagliente, ogni personaggio è colto in un attimo di riconoscibile fragilità e personale failure. Ideologie ed emblemi diventano giocattoli. Un erotismo ambiguo e sfrenato lega i diversi personaggi. La dinamica del film, che si muove per rapide associazioni più che per sequenza, ricorda il sogno e del sogno ha - non si dimentichi l'equazione che Robert Desnos stabiliva tra sogno e film nel 1926 - l'affiorante ambiguità erotica» (V. Fagone, in Nespolo Cinema Time After Time, Museo Nazionale del Cinema, Torino - Il Castoro, Milano, 2008).