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Lungometraggi |
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Addio, giovinezza!
Italia, 1940, 35mm, 88', B/N
Regia Ferdinando Maria Poggioli
Soggetto dalla commedia omonima di Sandro Camasio e Nino Oxilia
Sceneggiatura Salvator Gotta, Ferdinando Maria Poggioli
Fotografia Carlo Montuori
Musica originale Giuseppe Blanc, Enzo Masetti
Suono Leopoldo Rosi
Montaggio Ferdinando Maria Poggioli
Scenografia Gastone Medin
Costumi Gino C. Sensani
Aiuto regia Piero Caserini
Interpreti Adriano Rimoldi (Mario), Carlo Campanini (Leone), Maria Denis (Dorina), Clara Calamai (Elena), Bianca Della Corte (Emma), Carlo Minello (Carlo), Paolo Carlini (Pino), Bella Starace Sainati (la mamma di Dorina), Aldo Fiorelli (Ernesto), Mario Casaleggio (il padre di Mario), Vera Carmi (la fidanzata di Giovanni), Arturo Bragaglia (Marco il ciabattino), Walter Grant (l’amante di Elena), Piera Romani, Maria Vivaldi
Produzione I.C.I., S.A.F.I.C.
Distribuzione I.C.I.
Note 2.465 metri. Sceneggiatore non accreditato: Giacomo De Benedetti; adattamento musicale: Salvatore Allegra; direttore di produzione: Giacomo Giannuzzi; doppiatori: Carlo Romano (Carlo Minello), Aroldo Tieri (Aldo Fiorelli), Rosetta Calavetta (Franca Volpini).
È il primo lungometraggio a soggetto di Poggioli.
Il film è stato girato a Cinecittà (interni) e a Torino (esterni).
Sinossi
Torino 1910. Mario, studente di Medicina all’università, conosce Dorina, una dolce sartina, e se ne innamora, riamato. Per starle vicino va ad abitare nella camera che la madre della ragazza affitta. Un giorno, per un capriccio, Mario diviene l’amante di una bella donna fatale, mantenuta nel lusso da un vecchio signore. Dorina vuole difendere i propri diritti di ragazza innamorata e riesce ad avere una spiegazione dalla donna. Mario, irritato da questo comportamento, litiga con Dorina, si separa da lei e cambia casa. Trascorrono alcuni mesi. Mario si dedica agli studi con assiduità, con l’unico scopo di conseguire la laurea. Durante un pranzo per festeggiare l’avvenimento incontra nuovamente Dorina, sempre innamorata di lui, ma deve lasciarla perché l’attende al suo paese la professione di medico. La saluta con malinconia e tristezza lasciandola nella grande città.
Dichiarazioni
«Quando mi ferirono di dirigere Addio, giovinezza! Ne fui contento e preoccupato nello stesso tempo. Contento, perché il genere di lavoro, quella sottile malinconia che racchiude, mi piaceva molto, la sentivo. Preoccupato perché, nella sua sottile semplicità, Addio, giovinezza! era pieno di insidie anche per un regista più scaltrito di me. […] Per di più il film, ambientato come giusto a Torino, doveva avere quella caratteristica spiccatamente torinese, di spensieratezza e di signorilità, insieme. Torino è una città fine, raffinata anzi, e anche le sartine, quelle di ieri e di oggi, hanno un tono tutto particolare. Insomma non era un lavoro da prendersi alla leggera. […] A Torino, dove abbiamo girato gli esterni, siamo stati oggetto della cordiale curiosità dei tornesi, gelosissimi del “loro” film, che hanno seguito le varie riprese al Valentino, all’Università e alla pasticceria Baratti, con molto interesse, ma anche, sia detto con loro onore, con molta disciplina. Per le scene girate al Teatro Carignano, dove abbiamo messo su una rivista goliardica, ho potuto valermi di comparse d‘eccezione: cinquecento autentici studenti peni di entusiasmo e di… fiato, lietissimi i mettersi nei panni dei loro camerati di trent’anni fa… Per quanto gli interni per ragioni d’organizzazione siano stati fatti a Cinecittà, posso dire che idealmente tutto il film è stato fatto a Torino» (F.M. Poggioli, in “Film”, 14.12.1940).
«Quando Poggioli decise di realizzare il film tratto dalla commedia di Camasio e Oxilia, pensò subito a me come protagonista. Ci incontrammo e subito mi appassionai al ruolo. Sentivo che sarebbe stata la mia grande occasione. Forse con altri due o tre film (Alcazar, Seconda B, Sissignora, La maestrina) Addio, giovinezza! è quello che ricordo con più gioia. Ho girato più di cinquanta film, ma la commedia ambientata a Torino è quella che ricordo più volentieri… […] Poggioli era un uomo talmente delicato, talmente umano, capace di tali intuizioni, capace di stabilire con gli attori e con i collaboratori un clima ideale. Dal punto di vista della recitazione, ti tirava fuori intonazioni, espressioni controscene… Il tutto senza mai urlare o inveire. Sicché il clima sul set era sempre ottimale…» (M. Denis, in M. Scaglione (a cura), Attorno a Addio Giovinezza!, Associazione Astifest, Asti, 1999).
«È stato quel ruolo lì che mi ha dato molta popolarità e fiducia presso i produttori. […] Era il vero Leone della commedia. Un personaggio che io facevo senza ricorrere alla balbuzie. Perché in Leone la nota patetica c’è. Leone è un timido. [… Poggioli] era un grande maestro e un grande amico. Perché aveva una passione enorme» (C. Campanini, in F. Savio, Cinecittà anni Trenta, Bulzoni, Roma, 1979).
La commedia Addio, giovinezza!, messa in scena per la prima volta nel 1911, riscuote subito un grande successo a livello nazionale e procura ai due giovani autori Sandro Camasio e Nino Oxilia (poco più che ventenni) una grande notorietà che – tra l’altro - li porta ben presto a diventare registi cinematografici. La malinconica storia dell’amore tra lo studente Mario e la sartina Dorina viene portata sullo schermo per quattro volte. La prima volta con regia di Camasio e protagonisti Lydia Quaranta e Amerigo Mancini (il film esce sugli schermi pochi giorni dopo la morte dell’autore avvenuta a 25 anni per un attacco di meningite); la seconda versione è progettata da Oxilia che muore sul fronte di guerra prima di realizzare il film che viene invece diretto nel 1918 da Augusto Genina, con Maria Jacobini e Lido Manetti. Allo stesso Genina viene affidato nel 1927 una terza versione (con Carmen Boni e Walter Slezak), non più ambientata a Torino nei primi anni del Novecento – come il testo prevede – ma a Roma durante il regime fascista. Il quarto film, diretto nel 1940 da Poggioli, è il più riuscito adattamento cinematografico della celebre pièce, e una delle ragioni di questo primato risiede nella volontà del regista di non prescindere dal rapporto con Torino.
Le riprese del film sono seguite dalla cittadinanza con vigile attenzione: Addio, giovinezza! nel 1940 è ancora parte fondante dell’immaginario di almeno due generazioni di torinesi; Dorina, Mario e Leone rivivono ogni domenica sulle scene delle filodrammatiche, o nei teatri d’operetta, dove circola una fortunata versione musicale della pièce.
Il risultato dell’incontro tra la città e lo sguardo sensibile di Poggioli è senz’altro riuscito. «Addio, giovinezza!», scrive Mario Gromo il giorno della prima nazionale, tenutasi proprio nel capoluogo piemontese, «è un omaggio che il cinema italiano fa a Torino, ricordandole la sua vita dell’altro ieri […]: quasi una facile e affettuosa leggenda, un po’ casalinga, un po’ maliziosa» (M. Gromo, “La Stampa”, 31.12.1940).
Il regista riscopre i luoghi abitualmente frequentati dagli studenti di Torino all’inizio del secolo: il Rettorato dell’università in via Po, il caffè Baratti, il parco del Valentino, il Teatro Carignano, la zona della Gran Madre, l’atelier delle sartine in via Bogino e la casa di Dorina in piazza Maria Teresa. La tonalità dominante del film, che pure si sviluppa attraverso tutto il ciclo delle stagioni, resta quella dell’autunno, intriso di una dolcezza che svanisce inesorabilmente e gravato dal peso di un futuro imminente che si preannuncia rigido, privo di calore e di emozioni. «Quando usciremo dal cinematografo», prevede un critico dell’epoca, «dopo aver incontrato di nuovo Dorina, ci sarà facile ritrovare nei viali bui, nello scricchiolio delle foglie ingiallite sotto i nostri piedi, nell’odore di caldarroste che si sprigiona da ogni cantonata, l’atmosfera della sessione autunnale di laurea. E ritroveremo la profonda malinconia di un attimo in cui la vita sembra finita, insieme a un mucchio di libri gialli sgualciti che non servono più» (U. De Franciscis, “Film”, 21.9.1940).
Il cast degli attori che compaiono nel film pare composto con grande attenzione e sensibilità. Maria Denis, in particolare, suggerisce l’angoscia della sua condizione di esclusa «con una perfetta quanto spontanea dosatura degli slanci e delle reazioni psicologiche, con una sofferenza appena affiorante agli angoli delle sue labbra». Il risultato è quello di «una Dorina così viva, così umana e calda che molti non potranno mai dissociare l’immagine della sartina torinese dal volto dolce e sorridente di Maria Denis» (Anonimo, «Cine Illustrato», 10.1.1941).
Altra importante presenza femminile nel film è quella di Clara Calamai: indimenticabile è il momento in cui appare nel teatro Carignano «bellissima, provocante, fasciata con un abito bianco. L’attrice […] entra quindi cinematograficamente per la prima volta nel famoso teatro: ci ritornerà nel 1975, a fine carriera, per interpretare la psicopatica assassina di Profondo rosso, diretto da Dario Argento» (S. Della Casa, L. Ventavoli, Officina torinese, Lindau, Torino, 2000).
I due protagonisti maschili Rimoldi e Campanini – entrambi torinesi – offrono in questo film forse le migliori interpretazioni di tutta la loro carriera.
Per la sceneggiatura Poggioli si avvale della collaborazione di Salvator Gotta, abile evocatore di atmosfere “vecchio Piemonte” (è l’autore della celebre pièce che ispira La damigella di Bard, nonché sceneggiatore di Cavalleria, altro grande film elegiaco sul Piemonte diviso tra Ottocento e modernità). Gotta peraltro è un testimone diretto di quel mondo che Poggioli vuole ricostruire e reinventare, poiché conosce bene Camasio e Oxilia e la sua presenza in fase di adattamento non può che condizionare positivamente la “torinesità” del film. Atro torinese amico di Camasio e Oxilia e loro compagno negli anni degli studi universitari, è il compositore Giuseppe Blanc al quale si deve la musica di una famosa canzone che compare nel film con il testo scritto da Oxilia nel 1909 (Son finiti i tempi lieti / degli studi e degli amori / o compagni in alto i cuori / il passato salutiam! / E' la vita una battaglia / è il cammino irto d'inganni / ma siam forti abbiam vent'anni / l'avvenire non temiam. /Giovinezza, giovinezza / Primavera di bellezza, / Della vita nell'asprezza / Il tuo canto squilla e va! / Stretti, stretti sotto braccio / D'una piccola sdegnosa. / Treccie bionde, labbra rosa … ecc.). La stessa canzone sarebbe diventata la famosa Giovinezza, l’inno degli Arditi, grazie ad un nuovo testo scritto dallo stesso Salvator Gotta (Con la fè nell'ideale, / Il valor de' tuoi guerrieri, / La virtù dei pionieri / La vision de l' Alighieri / Oggi brilla in tutti i cuor. / Dell' Italia nei confini / Son rifatti gli italiani; / Li ha rifatti Mussolini / Per la guerra di domani, / Per la gloria del lavoro / Per la Pace e per l'alloro,/ Per la gogna di coloro / Che la Patria rinnegar….)
Il film ottiene grandi consensi di pubblico in tutta Italia. La critica lo apprezza non per la sua struttura narrativa – in fondo molto semplice –, per lo scavo psicologico – pressoché inesistente – o per le sue qualità stilistiche; il film, come rileva Pietro Bianchi, piuttosto «avvince e convince per la sua stessa ordinarietà». Colpisce soprattutto l’atmosfera. Dietro i toni gozzaniani e cremoniani, dietro una Torino d’inizio secolo che rifugge dai cliché da cartolina, in Addio, giovinezza! cresce di sequenza in sequenza un tono di soffusa malinconia. A temprare e smussare questa nuance malinconica interviene una tenera ironia nei confronti di un mondo perduto, scivolato per sempre dal tempo dell’azione a quello della rappresentazione, dello spettacolo: non a caso in un film successivo, La bisbetica domata, Poggioli ritornerà ad Addio, giovinezza! e farà scontrare quel mondo perduto con la tragedia presente della Storia (il regista decide infatti di riprendere la messa in scena di Addio, giovinezza! da parte di una filodrammatica all’interno di un rifugio antiaereo durante un bombardamento). Ma soprattutto questa malinconia del film, non di rado particolarmente sensuale, è sorvegliata dalla consapevolezza, a tratti molto dura (e approfondita in Sissignora, girato da Poggioli l’anno successivo e sempre interpretato da una Maria Denis in stato di grazia), della rigidità e della violenza dei rapporti sociali, condizionati da una società elitaria che emargina e che divide.
«L’immagine che più ho negli occhi di Clara Calamai non è quella storica di La cena delle beffe né quella noir ante litteram di Ossessione. È invece di un film del quale lei non era nemmeno protagonista assoluta: Addio, giovinezza! di Poggioli. In una scena entrava, sensuale, affannata e furtiva, nella stanza d’affitto di un giovane studente nella Torino di inizio secolo. Era bellissima, in un costume bellissimo, con movenze bellissime, ma soprattutto era l’apparizione di una Diva. Solo con lei si comincia a capire il significato di questa parola, proprietà privata di pochissime elette» (M. Spinola, in I. Moscati, a cura di, Clara Calamai. L’ossessione di essere una diva, Marsilio, Venezia, 1996).
«Parallèlement au Petit monde d'autrefois de Soldati, Ferdinando Marìa Poggioli tournait en 1940 Adieu jeunesse, comédie estudiantine qui, dans sa tristesse crépusculaire, évoquait la fin d'une époque bouleversée par la première guerre mondiale. Le film de Poggioli, imprégné d'une tendresse à la Murger pour un milieu bourgeois observé avec une pointe d'ironie, constituait un nouveau progrès et un gage d'espérance pour l'avenir» (A, Pietrangeli, “Revue du Cinéma” n. 13, mai 1948).
«L’immagine che ho più negli occhi di Clara Calamai non è quella storica di La cena delle beffe né è quella noir ante litteram di Ossessione. È invece di un film del quale lei non era nemmeno protagonista assoluta: Addio, giovinezza! di Poggioli. In una scena entrava, sensuale, affannata e furtiva, nella stanza d’affitto di un giovane studente nella Torino di inizio secolo. Era bellissima, in un costume bellissimo, con movenze bellissime, ma soprattutto era l’apparizione di una Diva. Solo con lei si comincia a capire il significato di questa parola, proprietà privata di pochissime elette» (M. Spinola, in Clara Calamai. L’ossessione di essere una diva, a cura di I. Moscati, Marsilio, Venezia, 1996).
Scheda a cura di Franco Prono
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