Girato in Techniscope e Technicolor; assistente operatore: Luigi Bernardini; montaggio effetti sonori: Aurelio Pennacchia; sincronizzazione: Fono Roma; assistente al montaggio: Adriana Benedetti; segretario di produzione: Armando Zappi; segretaria di edizione: Lina D’Amico; doppiaggio: C.D.C. Registro cinematografico 4.160; incasso: 1.768.000.000 lire.
Premio David di Donatello 1968 al regista Carlo Lizzani e al produttore Dino De Laurentiis; Grolla d’oro a Gian Maria Volonté come miglior attore protagonista.
Locations: Milano, Torino e dintorni, Alessandria (attuale Questura).
Con Banditi a Milano Lizzani inaugura un genere cinematografico nuovo nell’ambito italiano: quello del film gangsteristico “all’americana” con la metodica preparazione del piano criminale, la sparatoria e l’inseguimento, ma all’interno della realtà storica e sociale nostrana, con il chiaro intento di riflettere su un fatto di cronaca per cercare di capirne motivazioni e meccaniche. «Nel momento in cui, con estremo rigore, vengono riscontrati gli attimi della rapina, è allora che il film suscita nello spettatore un transfert ben diverso da quello “gangsteristico”, giacché viene a proporre la nostra partecipazione dal di dentro. [...] Si ha l’impressione che Lizzani abbia girato dal vivo, immediatamente, sia stato presente, in quel pomeriggio di settembre, a quanto stava avvenendo. [...] E del resto l’obiettivo della semplicità e della icasticità degli elementi è ottenuto in maniera egregia dal taglio delle varie inquadrature, che non sono quasi mai artefatte o arzigogolate, ma si presentano con la nudità e la chiarezza, appunto, delle immagini televisive» (F. Dorigo, “Cineforum”, n. 75, maggio 1968).
La “parentela” tra Banditi a Milano e gli Scarface americani è soltanto apparente «perché Lizzani tiene ancorato il racconto ad una precisa realtà italiana, anzi lombardo-piemontese [...] La caccia ai gangsters è tra le cose più ardite di Lizzani. Si rasenta il miracolismo della 500 che si ribalta, della 850 acrobaticamente speronata, di piazza Velasquez percorsa a folle velocità tra le persone che guardano perplesse [...] inconsapevoli che sotto i loro occhi sta attuandosi una tragedia. In coda allo splendido film, mimato alla perfezione da un Volonté di miracolosa bravura e splendidamente fotografato da Ruzzolini, resta l’amara esigenza di avviare, nel cinema e fuori, un dibattito sulle cause di queste furenti esplosioni criminali» (G. Napoli, “Film Mese”, n. 15, marzo/aprile 1968).
Gli effetti spettacolari sono altamente efficaci: «In tutto il film [...] lo spettacolo è largo e concreto. La fotografia di Ruzzolini [...] ritrova nelle vie di Milano una atmosfera sottilmente inquieta. Sullo schermo grande, l’obiettivo spazia in vasti e rapidi movimenti, e altrettanto pronto e stringente è il montaggio: requisiti che sono presenti nell’intero racconto e gli danno vivacità. [...] Con l’atteggiamento di oggettività che mantiene, Banditi a Milano offre allo spettatore soltanto la sua superficie rilucente: è una illustrazione, non una interpretazione» (M. Clemente, “Bianco e Nero”, nn. 5/6, maggio/giugno 1968).
Qualche critico esprime perplessità sulla simpatia umana che il regista nutre per i malviventi: «L’insofferenza del regista per la retorica, l’amore per la cronaca viva in Banditi a Milano, si prestano a una difesa d’ufficio dell’ordine. Eppure i quattro fuorilegge sono in buona misura simpatici; tutto il film è costellato dalle battute di Volonté-Cavallero, volte ad illuminare il carattere esuberante ed estroverso del personaggio. [...] L’amore per l’obiettività, la paura di cadere nel manicheismo, portano Lizzani di fatto, ad un equivoco atteggiamento nei confronti di squallidi personaggi» (G. Corbucci, “Cinema Nuovo”, n. 197, gennaio/febbraio 1969).
Qualcun altro lamenta la chiave giornalistica, cronachistica e priva di approfondimento sociologico, dell’operazione di Lizzani, il quale «simula il documentario, anzi, la stessa tecnica televisiva e parte da lontano, come facendo una piccola inchiesta sulla malavita milanese: tutte “notizie” recenti, che fanno titolo […] Quasi per caso l’autore entra nell’argomento della strage di via Zandonai, e parte dall’ “interrogativo angoscioso”: la popolazione quasi minacciò un linciaggio. Perché? Ecco, ci siam detti. Adesso ci fa vedere qualcosa. L’interrogativo prometteva assai: che so, forse una radiografia della strage in una data precisa della vita italiana. […] Niente di ciò nel film di Lizzani, il cui modo narrativo “alla giornalista” pare piuttosto un bel pretesto per correre via sulla superficie dei fatti. Ed ecco gli “spaccati” frettolosi sulla vita privata dei banditi, la parentesi commossa sulle vittime innocenti, le immagini equivalenti alla frase del cronista sulla “brillante operazione di polizia”. Il giornalista, si sa, non scrive né per la storia né per la letteratura: scrive per il giorno dopo.» (G. Vannucchi, “Rivista del Cinematografo”, nn. 6/7, luglio 1968).
Altri ancora affermano che l‘incipit del film – dieci minuti in cui vengono narrati gli antefatti dando un quadro dell’ordine pubblico dell’epoca – risulta alquanto frettoloso, moralistico. Tutti i commenti, comunque, lodano in modo incondizionato la recitazione di tutti gli attori, e del protagonista in particolare: «Un solo difetto ha il film: quello di una falsa partenza. Prima di affrontare la cronaca della giornata di sangue e la descrizione in flashback dei suoi antefatti, Lizzani spende una decina di minuti a mostrarci in una sorta di esemplificazione sceneggiata i vari aspetti della malavita nella nascente megalopoli lombardo-piemontese. [...] A parte ciò, comunque Banditi a Milano non può che essere lodato. [...] Tra gli interpreti, va ricordato in primo luogo Gian Maria Volonté, nei panni del capobanda esaltato e vigliacco: un ritratto magistrale, da attore tanto grande quanto coraggioso. Lo affiancano ottimamente, quali gregari, uno scavato Don Backy, un più che giusto Ezio Sancrotti e il molto promettente Raymond Lovelock» (G. Biraghi, “Il Messaggero”, 31.3.1968).
«La sua interpretazione è buonissima: piemontese d'origine, Gianmaria Volontè porta nella figura di Piero la conoscenza dei modi di dire, delle piccole retoriche quotidiane, dei ritegni e delle smorte galanterie della periferia torinese; Don Backy è un complice persuasivo ed incisivo. E ricco di rilievo è Tomas Milian nella parte del commissario; e, al solito, di rotonda efficacia Piero Mazzarella nel ruolo dell'invalido che fu il primo ad indicare e ad acciuffare l'autista della banda» (P. Bianchi, “Il Giorno, 5.4.1968).