Registro cinematografico n. 15; 2.240 metri.
Orchestra diretta da Tito Petralia; sistema di registrazione per la versione italiana: R.C.A.; doppiaggio: Fono-Roma; canzoni: Ti voglio per me e Tango bianco di Tito Petraia.
Gli interni del film sono stati girati negli stabilimenti Titanus–Farnesina; gli esterni in Valle d'Aosta e in Piemonte.
La dama bianca, terzo film di Mattoli, è una commedia borghese incentrata su Elsa Merlini, allora al culmine della notorietà, affiancata da due attori brillanti molto noti, Besozzi e Viarisio. Nella messinscena del film - tratto dal testo teatrale di De Benedetti e Zorzi – il regista non rimane del tutto fedele al testo, anche perché inventa varie ambientazioni e aggiunge scene e dialoghi. La commedia è piacevole e ben raccontata; «si tratta […] di un piacevole gioco, che fin dal principio si sa come andrà a finire. Tutto l’interesse e il divertimento non stanno tanto nei casi e nelle situazioni dei personaggi, quanto nella maniera con la quale gli attori sanno rendere sottilmente evidente il contrappunto scherzoso del dialogo» (G. Visentini, “Cinema”, 10.2.1939).
«Elsa Merlini […] godeva allora di grande notorietà. Le sono al fianco Nino Besozzi e il solito Viarisio. Anche se il film non è particolarmente vivace, Mattoli non rinuncia a ribadire le proprie idee sullo spettacolo. La sera, nell’albergo di Cervinia, sono a confronto due spettacoli offerti (ma per il secondo lo sapremo solo alle fine) dalla direzione: uno spettacolo di magia e l’attesa della dama bianca. L’attesa del pubblico premierà il secondo, e il primo dovrà essere interrotto. Direttore dell’albergo, in uno dei suoi primi ruoli, è il giovanissimo Paolo Stoppa. Delegato alla produzione è un giovane torinese, Valentino Brosio, che farà più tardi parte dello staff della Lux e che scriverà nel 1956 un interessante Manuale del produttore di film, in cui affiorano qua e là suggestioni mattoliane. Un altro torinese, Carlo Borghesio, assiste Mattoli alla regia: erediterà da lui il personaggio di Macario» (S. Della Casa, Mario Mattoli, La Nuova Italia, Firenze, 1989).
«Nel trasportare una commedia sullo schermo si pensa sempre di sviluppare l’azione in altri ambienti e non lasciarla tra le quattro pareti di una stanza. […] Per La dama bianca si è preferito tuttavia ambientare parte dell’azione in esterni e si è fatto bene, se non altro perché la propaganda turistica è sempre vantaggiosa. […] L’azione è condotta in modo abbastanza sciolto e nella scena della “festa della dama bianca” in cui tutti gli uomini sono in nero e le donne in bianco come il fantasma notturno, il regista ha colto qualche inquadratura particolarmente felice» (“Bianco e Nero”, anno III, n. 3, marzo 1939).
«Al solito La dama bianca deriva da una commedia; Mattoli l’ha rifatta con molta cura ed impegno, raggiungendo, specie nella prima parte una chiarezza espressiva di ottimo augurio. Ma nella seconda parte le cose s’imbrogliano e tutto si sgonfia. […] nel film si fa gran spreco di paesaggi montani e lacustri (il film sembra a tratti una “reclame” della CIT), che con l’azione c’entran ben poco» (A. Franci, Illustrazione Italiana, n. 1, 1.1.1939). Infatti non soltanto appaiono belle vedute di Cervinia e Valtournenche, ma anche scorci di Ivrea, Chivasso, Novara, Stresa durante un viaggio in auto.
«[La dama bianca] dovrebbe costituire “il film di ordinaria amministrazione”. Senonché […] il cinema italiano difetta appunto di “ordinaria amministrazione” […] .Tanto che l’apparire di un film grammaticalmente e stilisticamente corretto, di un film che dia il risultato del facile, del dilettevole, del decoroso, è un autentico avvenimento» (A. Consiglio, “Film”, n. 3, 21.1.1939).