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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Lungometraggi



Come persi la guerra
Italia, 1947, 35mm, 90', B/N

Altri titoli: How I Lost the War, Sept ans de malheur

Regia
Carlo Borghesio

Soggetto
Carlo Borghesio, Leo Benvenuti, Marcello Giannini

Sceneggiatura
Mario Amendola, Leo Benvenuti, Carlo Borghesio, Aldo De Benedetti, Mario Monicelli, Tullio Pinelli, Steno (Stefano Vanzina)

Fotografia
Aldo Tonti

Musica originale
Nino Rota

Montaggio
Rolando Benedetti

Trucco
Otello Fava

Aiuto regia
Leo Benvenuti

Interpreti
Erminio Macario (Leo Bianchetti), Vera Carmi (Gemma), Carlo Campanini (capitano tedesco), Nando Bruno (Checco), Folco Lulli (ufficiale americano sul ponte), Piero Lulli (ufficiale tedesco sul ponte), Nunzio Filogamo (il venditore di cappelli), Fritz Marlat (un soldato tedesco), Marco Tulli (ufficiale tedesco)

Direttore di produzione
stripslashes(Maggiorino Canonica), Giovanni Laterza

Ispettore di produzione
stripslashes(Maggiorino Canonica), Giovanni Laterza

Produzione
Luigi Rovere per R.D.L.

Note

Nulla Osta n. 3.337 del 25.11.47; 2.344 metri. Incasso: 294.000.000 Lire.

Direttore d'orchestra: Fernando Previtali.





Sinossi
Dopo anni di collegio e servizio militare Leo, appena congedato, vorrebbe lasciare la divisa e comperare un cappello borghese; ma la radio avvisa che l'Italia ha dichiarato guerra all'Etiopia. Richiamato sotto le ami, il protagonista incomincia un’odissea attraverso l’Etiopia, la Spagna e la Russia, in un frenetico cambio di divise. Mentre combatte per l’esercito tedesco viene catturato dagli americani; in un campo di prigionia fa amicizia con Cecco, e per un caso di omonimia conosce Gemma, stupita di trovare un piccolino timido invece del baldo aviatore con cui corrispondeva per lettera. Invitati a trascorrere a casa di lei una licenza, Leo e Cecco sono sorpresi dall’avanzata dei tedeschi. Nella fuga Leo rimane solo e rischia di essere fucilato; finalmente la vittoria degli alleati mette fine ai suoi guai; ritornato civile, finisce per vestire ancora una volta una divisa, quella di pompiere.



Dichiarazioni
«Con i film non facevo certo grossi guadagni: il compenso più alto è stato per Come persi la guerra, nel 1947, quando mi diedero un milione e un panettone» (E. Macario, in O. del Buono, Il cachet di Macario: un milione e un panettone, “La Stampa”, 20.1.1996).

«Come persi la guerra di Borghesio, una farsa su un tema spinoso e dolente ma che fece divertire molto. Fece arrabbiare perfino il governo e Andreotti che disse: “I panni sporchi si lavano in casa, non si può mandare all’estero un film così denigratorio per l’Italia, per quello che era”» (M. Monicelli, in F. Arcieri, Il (sor)riso amaro della commedia all’italiana. Intervista a Monicelli, www.hideout.it/index.php3?page=notizia&id=295).





Macario, il più famoso attore comico degli anni Quaranta, autentica star del varietà grazie a tante riviste portate con successo in tutti i teatri italiani, consegue nel dopoguerra la sua maturità cinematografica, in cui la comicità surreale e bonaria dei film precedenti e l’affinato repertorio di sgambettii e mossette trovano nel clima del neorealismo nuove tonalità amare e malinconiche, ma anche richiami satirici e caustici ai terribili anni appena trascorsi. Al risultato contribuisce la sapienza produttiva di due figure fondamentali come Luigi Rovere e Dino De Laurentiis, che collaborano per questo e altri tre film, prima di proseguire separatamente per alcune delle pagine più note della storia cinematografica italiana.

Per Come persi la guerra al fianco di Borghesio, da tempo amico e socio di Rovere, si riunisce un gruppo di collaboratori sorprendente, dal nutrito staff di co-sceneggiatori (Amendola, Benvenuti, De Benedetti, Monicelli, Pinelli, Steno) al direttore della fotografia Aldo Tonti, che contribuisce al film anche con un’irresistibile macchietta di soldato tedesco, e al compositore Nino Rota, che dopo le marcette e i ritmi onomatopeici lavorerà ancora a lungo con Rovere, e siglerà con Fellini la sua collaborazione più nota. Ma è nutrita anche la serie dei comprimari, poiché la comicità bonaria di Macario vive grazie al lavoro d’insieme degli attori: si uniscono così Campanini, i due fratelli Lulli, Folco e Piero, la bionda Vera Carmi e soprattutto Nando Bruno, nel film il compagno d’avventure al cui filosofare in romanesco spettano le battute sullo spirito degli italiani in guerra che suscitano non poche polemiche e attacchi dalle istituzioni.

Nonostante il tono bonario e lunare della comicità, il film non manca di punte sarcastiche che affondano la retorica nazionale e l’impegno militare, qualificandosi anche all’estero (come in Francia, dove il film riscuote un successo imprevedibile) come un esempio di nuova comicità più impegnata e profonda.

«Come persi la guerra diede il via nel migliore dei modi alla fortunata collaborazione con il regista Carlo Borghesio (che poteva contare anche sulla collaborazione di due assistenti, destinati a diventare assai famosi, come Steno e Monicelli), e si impose come uno dei primissimi film italiani in grado di riscuotere un considerevole successo anche all’estero: con il titolo di Sept ans de malheur venne infatti proiettato ininterrottamente per cinque mesi in una centralissima sala parigina, fatto all’epoca decisamente raro. I francesi, probabilmente non a torto, ravvisarono in quella pellicola (come del resto anche nel successivo L’eroe della strada) le prime tracce di quel neorealismo italiano che si affermò oltralpe soltanto dopo i primi anni ’50. In ogni caso la critica lo accolse assai favorevolmente, tanto che in occasione del Festival cinematografico di Locarno del ’48 venne acclamata come la miglior opera della rassegna. Nelle avventure dell’uomo qualunque che si difende come può di fronte alle avversità nelle quali via via s’imbatte, è senz’altro ravvisabile qualche eco "gianniniana": in Come persi la guerra si racconta infatti la per nulla facile esistenza dei tanti italiani travolti dalla guerra e costretti a battersi indossando più divise. venato di un’ironia caustica e impietosa, il lungometraggio procurò al produttore Luigi Rovere una denuncia per vilipendio, ma anche un grande ritorno economico conseguito nelle sale di mezza Europa» (M. Ternavasio, Macario, Torino, Lindau, 1998).

«La pellicola, sebbene piuttosto fiacca e ripetitiva, possiede il merito di illuminare questa censurata verità: la gente comune è attendista, costituisce quella ampia e maggioritaria “zona grigia” defeliciana che aspetta con ansia che la bufera passi per potere tornare alle proprie quotidiane preoccupazioni in contesti politici i quali finiscono per riflettersi in maniera modesta (quando non si intraprendano avventure belliche) nelle abitudini e incombenze di ogni giorno. Borghesio non risparmia nessuno: tedeschi e americani, repubblichini e partigiani sostanzialmente si equivalgono mentre nel finale Macario può chiudere “in bellezza” chiedendosi smarrito: “ma questa guerra in definitiva l’abbiamo vinta o persa?” facendo così del sarcasmo su uno scenario italiano talmente frammentato e litigioso da avere un gruppo o un partito alleato con ciascuna delle potenze straniere in campo. Se il linguaggio filmico è modesto, va però ricordato il notevole contributo musicale di Nino Rota, contributo che in più occasioni “ruba” la scena alle immagini balorde e governate da una comicità che stenta a decollare. Così nella lunga azione di sabotaggio messa in opera da Macario “cobelligerante” ai danni dei tedeschi la musica alterna aerei motivetti rossiniani per gli italiani ai possenti, wagneriani temi di Siegfried e del Patto (dal monumentale Ring nibelungico, 1850-76), ad accenni di boogie; nel finale si inserisce perfino la Marsigliese. Il caos militare si riflette in quello sonoro ove culture antitetiche si confrontano nell’accostamento di suoni tanto lontani tra loro. In particolare suona decisamente acuta la citazione del tema del Patto: in Wagner si trattava del patto tradito da Wotan che, fattosi costruire il Walhalla, rifiuta di pagare i Giganti Fafner e Fasolt; nell’Italia del 1943 invece il riferimento è al generale, ripetuto tradimento consumatosi tra Italiani e Tedeschi prima e dopo l’8 settembre (fin dall’inizio del “Patto” d’acciaio Hitler tradisce gli accordi segreti presi con Mussolini e anziché attendere il 1942, scatena la guerra in Polonia già nel settembre 1939 ponendo l’Italia in una situazione di grave difficoltà politico-militare)» (G. Rausa, Come persi la guerra, L'eroe della strada, Molti sogni per le strade e Proibito rubare: l'epoca dei furti (1947-48), www.giusepperausa.it/come_persi_la_guerra__l_eroe_d.html).

«La chiave del successo di Come persi la guerra consisteva nell’aver tenuto presente l’esperienza neorealista, anche se questa espressione può sembrar troppo importante in un discorso sul film comico. Dopo il successo eccezionale di Come persi la guerra, ci si convinse che il pubblico poteva “ridere italiano”: mentre fin allora aveva soltanto “riso americano”» (O. del Buono, “La Stampa”, 20.1.1996).



Scheda a cura di
Matteo Pollone

Persone / Istituzioni
Carlo Borghesio
Leo Benvenuti
Marcello Giannini
Aldo De Benedetti
Mario Monicelli
Tullio Pinelli
Steno (Stefano Vanzina)
Aldo Tonti
Nino Rota
Maggiorino Canonica
Erminio Macario
Vera Carmi
Carlo Campanini
Nando Bruno
Folco Lulli
Nunzio Filogamo


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