Protagonista di questo cortometraggio di Ugo Nespolo è l’ignavia, l’incapacità di realizzare un proprio intento, alla quale seguono scuse necessarie per non ammettere la propria inettitudine (perso l’aereo per Roma, il personaggio del film si consola pensando che nella capitale fa troppo caldo). Coerente con il tema dell’opera è lo stile scelto dal regista per il suo racconto: secondo Paolo Bertetto, un minimalismo narrativo costituito da vuoti e tempi morti, una scrittura dell’ellissi, della mancanza, fatta di digressioni piuttosto che di dinamiche concrete.
«Questo film di Nespolo è anche pirandelliano: trasporta i suoi personaggi attraverso la coscienza, li sposta come pedoni su una scacchiera, al di là dello specchio illusorio di Alice, perché anche qui mille specchi invisibili si trovano dietro i protagonisti, sdoppiando le immagini e le azioni» (Janus, in Nespolo, Art’è, Villanova di Castenaso, 2003).
Funzione di specchio, sia pur deformante, sembra avere lo schermo televisivo, molto presente in Andare a Roma: la televisione rappresenta una dimensione parallela alla realtà vissuta dai protagonisti, che qui coincide con il cinema; tale duplicità viene sottolineata cromaticamente: il cinema è a colori, la televisione in bianco e nero.
Interni ed esterni non si contrappongono, come succedeva in Un supermaschio, cortometraggio di un anno precedente a questo, in cui la casa del protagonista era simbolo di una cultura differente da quella della città in cui si trovava. In Andare a Roma la stanza dei due protagonisti e Torino sembrano avere la stessa natura: «L’uomo e la donna escono dalla loro tana come se uscissero dalla loro tomba, ma anche la città, benché brulicante d’altri personaggi, non è che un sepolcro più grande». Il film è il racconto «di uno smarrimento esistenziale e della scoperta dell’uomo all’interno di una morte che non è mai dichiarata esplicitamente, ma comunque sempre presente nell’inutilità o nel carattere fortuito o nell’assurdità apparente dei suoi movimenti. Rinunciare alla partenza vuol dire rinunciare alla vita. Il protagonista agisce costantemente contro se stesso, agisce contro i suoi stessi progetti; non ha nemici estranei, ma è nemico di se stesso. Qui, possiamo distinguere la reale natura di questa morte: è la morte del desiderio che evoca sovente l’insieme del cinema di Nespolo» (Janus, Ibidem).
«[...] Andare a Roma [...] conserva una capacità acuta di definizione delle immagini, e i continui ribaltamenti tra immagini lette dalla realtà e immagini lette da un cinescopio televisivo ne accentuano la fluidità. Il film è la storia di un atto gratuito, proprio nel senso di Gide, che si risolve in un atto mancato (nel senso di Freud). Un artista sogna di riscattare una vita senza traguardi, senza risposta, attraverso un gesto clamoroso e assurdo ma liberatorio: andare a Roma, uccidere il papa. Nespolo racconta nel film come, nella pigra estate di una grande città del Nord, quell'idea assurda coaguli, diventi un progetto da preparare con cura in tutti i dettagli, da coltivare in un segreto assoluto. Il film si carica di questa tensione. Si popola di oggetti minacciosi, di prove, di rimandi simbolici. Il personaggio vive questa sua attesa accanto a una donna incinta. Anche la donna sformata appare come un'immagine dilatata di cui è difficile cogliere il senso: diventa un enigma, una sfinge domestica, impenetrabile» (V. Fagone, in Nespolo Cinema Time After Time, Museo Nazionale del Cinema, Torino - Il Castoro, Milano, 2008).