Regia Louis Nero
Soggetto Timothy Keller, Louis Nero
Sceneggiatura Timothy Keller, Louis Nero
Fotografia Louis Nero
Operatore Louis Nero
Musica originale Tiziano Lamberti
Musiche di repertorio Any 1000 Creatures, Goretti, Nonlogonopogo, S/M
Montaggio Louis Nero
Scenografia Salvatore Canato, Federico Frattiani
Arredamento Paolo Adami Antichità, Archivio storico Telecom Italia–Torino, Antichità San Michele
Costumi Viola Verra
Trucco Patrizia Tuccio
Interpreti Daniele Savoca (Paolo), Giorgia Cardaci (Maria), Sax Nicosia (Francesco), Carlo Gerbino (Cupido), Flavio Sciolè (Marco), Lola Gonzales (Michela), Aldo Rendina (Sandro), Pietro Di Legami (Gianni), Simona Nasi (Petra), Tiziana Catalano (la madre), Sabrina Rubino, Salvatore Canato, Franco Beltrame, Mek Ndongala, Ezio Bodo, Elisa Pistone
Produttore esecutivo stripslashes(Louis Nero), Valerio Marello
Produzione L'Altrofilm Associazione Culturale
Distribuzione Medusa
Note 3020 metri.
Film interamente girato con un unico pianosequenza.
Altri interpreti: Papi Savagè, Cedric Kibongui, Saltimbanchi A.C. "Bartalò", Giuliano Daniele, Gian Maria Leone, Sara Delmonte, Andrea Il Grande, Alberto Mazzari, Emanuele Vallinotti, Pier Giorgio Rabino, Daniela Destefanis, Eva Nari.
Il film è stato proiettato per la prima volta in pubblico nel 2005.
Scheda a cura di d.c.
Sinossi
La sequenza si apre sul litigio di Paolo, scrittore perennemente insoddisfatto dalla propria opera e Maria, fidanzata esasperata dalla situazione. Dopo una discussione l'uomo si reca al bar, dove trova un compagno di scuola, protettore di prostitute, che gli parla di Maria, la quale è una delle sue squillo. Segue una serie di incroci di personaggi e destini, tra cui un coniglio che trasporta messaggi d'amore, la migliore amica di Maria, il padre di Paolo che muore durante un incontro con una prostituta, la quale nel finale incontra Paolo, chiudendo il cerchio.
Dichiarazioni
«È il primo esperimento italiano. Alcuni critici lo considerano il primo europeo. [...] I miei modelli sono a livello linguistico Godard, a livello narrativo David Lynch [...] abbiamo girato, dopo una lunga preparazione durata sei mesi, per tre sere consecutive:nella prima abbiamo fatto una prova, nella seconda, che doveva essere la definitiva, si è rotta a metà dell’opera la macchina da presa, la terza finalmente è stata quella che vediamo ora sullo schermo. Realizzare un film con questo linguaggio cinematografico è un’impresa colossale, un impegno pazzesco: ho dovuto imparare a memoria 150 pagine di sceneggiatura, gli attori conoscevano soltanto la loro parte» (L. Nero, “La Stampa”, 24.2.2005).
«Un’intera sequenza cinematografica nasce, si sviluppa e si conclude all’interno della stessa inquadratura. Si tratta del piano sequenza: tecnica raffinata e complicata usata esclusivamente dai grandi maestri della macchina da presa come Anghelopulos, Antonioni o Godard, solo per citarne alcuni» (S. Totino, “Torino Cronaca”, 28.8.2002).
«Il piano sequenza, ovvero la ripresa di una scena o di una sequenza in continuità senza ricorrere a tagli e al montaggio, è una delle principali caratteristiche di un certo tipo di cinema. Da Welles a alla Nouvelle Vague, passando per Antonioni e Allen, fino a Dogma 95. Oggi un giovane torinese, Louis Nero, vuole estremizzare questa tecnica. Il suo nuovo film verrà girato domani notte nella circoscrizione III di Torino (che patrocina il progetto in collaborazione con il comune), tra piazza Sabotino e piazza Adriano, come un lunghissimo piano sequenza. L’inizio delle riprese è previsto per le due e centodieci minuti dopo il film, intitolato appunto Pianosequenza, sarà terminato. [...] L’avvento del digitale permette a Louis Nero di riprendere senza soluzione di continuità, facendo di questo film “Un’impresa difficile ma non impossibile - spiega il ventiseienne - se tutto, ma proprio tutto, sarà perfetto e ogni dettaglio coinciderà. Ci vuole grande precisione, mia e degli attori”. Ogni personaggio ha una doppia identità che svela in un continuo susseguirsi di ribaltamenti e colpi di scena. [...] Tra i modelli di riferimento è facile individuare “Dogma 95”: “L’utilizzo della camera a spalle - precisa Louis - senza carrelli, dolly e quant’altro, è mutuato da Dogma, così come l’iperrealismo. Nel mio film c’è coincidenza tra durata della storia narrata che addirittura enfatizza il credo di Dogma. Infine uno degli ispiratori di Lars Von Trier è proprio quel Godard amante del piano sequenza e dal quale riprendo l’utilizzo delle inquadrature strette che insistono sui corpi”» (R. Pavanello, “La Stampa”, 7.9.2002).
«Magari questa notte capita a voi. Ma dopo le due. Per l’esattezza fra le due e le quattro del mattino. Occhi aperti girando per Borgo San Paolo, da corso Peschiera, piazza Sabotino e via Di Nanni. Niente paura se a un certo punto vi imbattete in un coniglio grande, grosso e bianco, uno e ottanta per novanta chili, che ciondola mogio sul marciapiede di via Osasco. E dietro, come un’ombra furtiva, un ragazzo con una macchina da presa in mano. E più dietro ancora un lungagnone magro che si agita e vi chiede di mettervi da parte, di lasciare libera la scena, l’inquadratura. Dovete fermarvi: vi sta passando davanti un film. Due ore. Due ore di vita, due ore di cinema, senza interruzioni. Su e giù in una notte torinese, lungo scale, dentro appartamenti, negli ascensori, per le strade, davanti a un camper, vicino a un semaforo, su un’automobile d’epoca. Il coniglio è un personaggio con dentro un uomo, il ragazzo con la macchina da presa è un regista; il lungagnone che pedina entrambi è il suo aiuto. Quello contro qui siete finiti è un film, un esperimento, una scommessa. Si intitola Pianosequenza: tutto attaccato, come tutto attaccato è, a volte, il cinema alla vita. Senza pause, senza nessuna differenza, in questo caso. Un intero film in una sola sequenza lunga due ore. L’ha progettato e provato per mesi Louis Nero che, rispettoso del cognome, ha capelli, pizzetto, occhiali, camicia e pantaloni neri. Lo ha scritto insieme con Timothy Keller. Questa notte, bloccando mezzo quartiere, lo realizza grazie all’impegno di una ventina fra attori, tecnici, assistenti logistici, parenti e amici. Dopo aver girato nel 2000 Golem con Moni Ovadia e Enrico Ghezzi, che sta continuando a montare da un anno e mezzo, si è inventato Pianosequenza per non dover montare neanche un minuto nel film, non si sgarra, niente tagli riparatori, non c’è possibilità di recupero, né di ripetere, non c’è un secondo ciak. Giovedì notte, la prova generale. [...] Gli attori sono diventati personaggi e non si fermano più: Louis Nero li bracca con la sua Dvcam professionale. Non li molla mai, gira loro attorno. Passa da uno all’altro. Muove la macchina, la fa ondeggiare, la mette di sbieco, la inclina. La sensazione è che la vera protagonista della storia sia proprio la macchina da presa, testimone che i personaggi si passano e spioncino attraverso cui gli spettatori vedranno il film oggi girato in alta definizione poi vidigrafato su pellicola 35 mm. Quando, dopo viaggi in auto, camminate, incontri, baci, abbandoni, morti, furti e apparizioni di fantasmi, le riprese finiscono e oramai l’una passata. L’ora e cinquanta prevista si è allungata, è diventata due ore e venti. Più mancanza di ritmo in certe scene che lentezza. Questa notte, comunque vada, sarà buona alla prima. E sarà anche l’ultima» (G.L. Favetto, “la Repubblica”, 8.9.2002).
«Cinema da guinness dei primati. Il giovane produttore-regista Louis Nero, classe '76 molti corti e due lunghi all'attivo, prende una camera digitale, 10 attori molto bravi e gira per due ore senza stacchi al montaggio Pianosequenza, dramma surreale in una Torino notturna e metafisica. [...] Una stimolante via di mezzo che ricorda l'approccio del Resnais de L'anno scorso a Marienbad, soprattutto per quanto riguarda la personalità della macchina da presa, che decide a quale personaggio incollarsi scandendo con maestria il ritmo di questo folle universo. E non manca l'autoironia come quando il padre dello scrittore lo accusa di parlare in modo pomposo per non essere da meno dieci secondi dopo» (F. Alò, “Il Messaggero”, 18.2.2005).
«[...] il giovane Louis Nero, classe ‘76, ha partorito la classica "trovata": girare un intero film, dall'inizio alla fine, in piano sequenza, senza tagli, senza cambi di bobina e quindi senza pellicola, optando per le cosiddette tecniche dell'alta definizione. Ma il continuo piano sequenza è l'ultima delle cose che l'incauto spettatore entrato in sala percepisce. II film è stato infatti girato completamente di notte: ci ritroviamo con un buon settanta per cento della pellicola in cui non vediamo, letteralmente, niente. Senza munirci di visori a infrarossi distinguiamo solo profili di persone, luci sfocate, vetri di macchine. Potrebbero esserci stati anche mille stacchi! II film resta in "piano sequenza" solo per la fiducia che riponiamo nel regista. L’altro trenta per cento è illuminato esclusivamente da candele, e qui - senza scomodare Kubrick e Barry Lindon - dobbiamo fare sforzi sovrumani per distinguere gli attori. La stessa trama l'abbiamo ricostruita grazie a un comunicato stampa. [...] Per rendere il tutto un "film d'arte", si aggiungano infiniti dialoghi rivolti alla macchina da presa e un nudo integrale che non fa mai male e giustifica la locandina incentrata sul fondoschiena della protagonista. Potremmo parlare delle musiche insopportabili, della recitazione che va dalla "cagneria" più becera (il Coniglio, il Padre) ad attor-giovani che sembrano appena usciti dalla scuola TV della De Filippi. Infine - ciliegina sulla torta - i titoli rigorosamente scritti in francese e un personaggio che, voce del regista, proclama il suo disgusto per il banale e la normalità nei film. Insomma, un Dogma 95 dei poveri. Perseguito intenzionalmente, e questo è il peggio. II tutto si trascina, poi, per ben 123 estenuanti minuti [...] La telecamera si limita ad andare appresso agli attori. Quando poi la situazione comincia a farsi statica (sempre) il "regista" ha la brillante idea di inclinare la telecamera, accelerare il ritmo (sulle scale o in macchina) o fare strettissimi primi piani ai protagonisti. Come giudicare quest'opera? Un opera da festival, un opera da Guinnes dei primati, realizzata solo per far scalpore e per far conoscere ai posteri il nome del suo ideatore. E, a giudicare dallo scalpore che ha suscitato, un obbiettivo non raggiunto» (A.E. Castellani, “Film” n. 64, marzo-aprile 2005).
«Dieci personaggi, di notte, si trovano, si lasciano, si amano, ma soprattutto si parlano addosso: spisciolano parole che rimbalzano contro gli alti concetti che vorrebbero affrontare, in un vaniloquio interminabile e asfissiante. Girato in digitale e in un unico pìanosequenza […], il film - chiamiamolo pure così - di Louis Nero si autodefinisce un prodotto sperimentale, cercando di mascherare dietro la nobiltà dell'aggettivo la sua impossibilità a farsi seguire con un qualche costrutto. Due ore perse» (marCa, “Segocinema” n. 135, settembre-ottobre 2005).
Scheda a cura di Damiano Cortese
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