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Persone |
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Emanuela Piovano
Torino, 17 Gennaio 1959
Regista
Dopo aver studiato musica, danza, fotografia si laurea in Lettere. Dal 1981 al 1987 svolge un’intensa attività di ricerca presso l'Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza, dove collabora alla realizzazione di filmati didattici, al recupero e alla riedizione di filmati d'archivio e al film Le prime bande di Paolo Gobetti. Per anni si dedica a progetti di animazione teatrale e musicale con alcune comunità giovanili ed è redattrice di riviste di storia e critica cinematografica. Produttrice di Processo a Caterina Ross di Gabriella Rosaleva, nel 1984 è tra gli ideatori del movimento Camera Woman, per cui dirige i seguenti lavori: D'amore lo sguardo (registe a Torino); Il corpo, il gesto, le donne, il cinema; Camera Oscura; Milonga de la niña (studio per Marilaide Ghigliano fotografa); Epistolario Immaginario.
Nel 1987 firma la sceneggiatura e la regia del cortometraggio prodotto dalla Rai Senza fissa dimora, mentre l’anno successivo fonda la Kitchenfilm, società che le permette di produrre tutti i suoi film. Le rose blu è un racconto collettivo sulla condizione delle donne detenute, ambientato al carcere delle Vallette; Le complici è un thriller tutto al femminile basato sul romanzo di Maria Rosa Cutrufelli Complice il dubbio; il sentimentale Amorfù è un dramma con Sonia Bergamasco nella parte di un’inquieta psichiatra che s’innamora di un suo paziente. Del 1991 è la commedia L’aria in testa, film che parla di cinema e in cui la regista interpreta la parte di Luce Stravirata.
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Torino prima che una città è una parola. L’anagramma di Ritorno. Anche quando non pensavo di muovermi da lì, Torino evocava in me fotogrammi di rebus e parole incrociate, proprio come la sua pianta a scacchiera. Non mi ha mai accolta in un abbraccio materno e amoroso come Roma (Amor). Ho abitato nei suoi spazi come nei corridoi in penombra da cui ci si aspetta aperture di porte. In pittura la si è spesso paragonata a De Chirico, ma penso che somigli di più a Savinio, il fratello appartato ma più eclettico, come se il corridoio alla fine fosse il posto di passaggio più dimesso ma anche quello più coerente, il viaggio e il come farlo piuttosto che la destinazione e l’averlo fatto. L’odore un po’ malato degli ippocastani e un’altra parola in forma di rebus: MIRAFIORI hanno segnato la mia adolescenza di fanciulla destinata alla Svizzera che pervicacemente ha preferito la Valchiusella e imbracciato il cinema al posto del fucile. La nebbia, Gian Maria Volonté, ma anche i Levi e i Casorati. Generazioni non mie, le mie stavano in carcere ed io ad un pelo, ci siamo incontrati poco negli anni migliori, e non abbiamo ancora cominciato a riparlarne, facciamo finta di niente e intanto ricominciamo da lontano, dal tifo per il calcio, i giovani registi di una giovane america latina, il proletariato sindacalizzato e ordinato alle prese con la morte prima che con la vita (le nostre Rose Blu non erano una matrice replicas relojes perfino topografica della Thyssen?). Nel ritorno, sempre un po’ amaro e sempre un po’ nostalgico, Torino diventa uno sguardo al futuro, come quell’ottima annata di Cesare Dapino e Gabriella Rosaleva che recitava: “Egizi: uomini del passato futuro”, e ancora una volta i sarcofagi dell’insigne Museo prendevano il volo come le fiammelle della Pentecoste, fuori della polvere e degli scaffali. Torino è una parola prima che un’immagine, e per chi lavora con le immagini è uno sfondo, un vaso, una cornucopia, un corridoio, quante porte da aprire e cose da scoprire! (Dichiarazione originale).
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