Mio padre Paolo era nato in Piemonte, ma nel paese dal nome più genovese che esista: Parodi Ligure, sopra Gavi. Vi sorge il castello di Montaldeo, che è dei Doria. Conoscevo bene Giorgio Doria, l’ultimo rampollo della grande famiglia. Gli dicevo sempre: “Guarda che quel castello appartiene sicuramente al Doge di Genova Leonardo Montaldo, al quale un tuo avo l’avrà sicuramente rubato. Per cui caro Doria, sappi che prima o poi me lo devi ridare”. E lui mi rispondeva: “Va benissimo. C’è da rifare il tetto, sono due o tre miliardi…” Mai avuto il castello. Meglio così, viste le spese di ristrutturazione da affrontare. (www.amnc.it).
Venni a Torino per lavoro prima di
Tiro al piccione, perché feci l’aiuto regista di Carlo Lizzani durane le riprese di
Esterina. Ho un ricordo bellissimo di quell’esperienza: si abitava a Villa Sassi, si mangiava al Cambio e al Caval d’Brons, si passavano le giornate con la simpatica Carla Gravina e l’esuberante Domenico Modugno. Il film fu girato in
replicas relojes de lujo periferia, con la sceneggiatura di Ennio De Concini, ma non ebbe troppo successo. […] Non tornai più a Torino: il cinema mi portò lontano, fino in Nord e Sud America, con Pontecorvo in Jugoslavia e ad Algeri, in Medio Oriente, Tibet, Mongolia, Cine e Africa… […] Ma il mio primo ricordo di Torino è legato alla partita Italia-Inghilterra del 1946. Venni da Genova per vederla, e per la folla allo stadio e il calore della giornata di maggio caddi svenuto. Passai di mano in mano, di testa in testa fino a essere portato in campo oltrepassando le reti di recinzione. Una volta lì fui medicato e potei guardare la partita insieme ai fotografi a bordo campo. Vidi giocare il grande Stanley Matthews da una posizione splendida, tanto che poi vennni accusato dagli amici di aver fatto la scena
(in D. Bracco, S. Della Casa, P. Manera, F. Prono, a cura, Torino città del cinema, Il Castoro, Milano, 2001).