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Lungometraggi |
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Cous cous
Italia, 1996, 35mm, 90', Colore
Regia Umberto Spinazzola
Soggetto Umberto Spinazzola, Eraldo Taliano
Sceneggiatura Umberto Spinazzola, Eraldo Taliano, Eleonora Lavella, Claudio Meloni
Fotografia Claudio Meloni
Musiche di repertorio Agricantus, Almamegretta, Aldo De Scalzi, Pivio, Paolo Serazzi, Sensasciou, Trascendental
Suono Luigi Melchionda
Montaggio Anna Napoli
Interpreti Evie Garrat (Eveline), Toni Bertorelli (Frankie), Edoardo Di Mauro (Edo), Philippe Leroy (Isaia), Charmaine Sinclair, Malya Woolf, Olga Lowe, Yoshiki Sekino, Tuan Hong, Albert Lee, Paolo Serazzi, Luciano Bosia, Maria Serazzi, Sergio Troiano, Walter Rolle
Produttore esecutivo stripslashes(Ladis Zanini)
Produzione Immagine & Comunicazione
Distribuzione Italian International Film
Note Anno di produzione: 1995.
Altri interpreti: Michele Minerva, Rosanna Fellitti.
Sinossi
Il gruppo musicale multietnico Cous Cous viene cacciato dalla sala torinese in cui prova i propri brani in quanto i condomini sono infastiditi dal suono troppo elevato. Si trasferiscono così presso la baracca di un fratello di Evelina, anziana componente della band; questo precario locale viene però abbattuta per fare posto ad un’autostrada in costruzione. I musicisti riprendono a vagare in cerca di un altro spazio.
Dichiarazioni
«Mi sarebbe piaciuto poter vivere a Torino e realizzare ogni mio lavoro in città. Ma Torino, cinematograficamente, non offre spazi. Non ci sono produttori e mancano addirittura i laboratori di sviluppo delle pellicole. Quindi bisogna emigrare, volenti o nolenti» (U. Spinazzola, in P. Abrate, Cento anni di cinema in Piemonte, Abacus, Torino, 1997).
film che mostra i Murazzi del Po come nuovo punto di ritrovo della Torino alternativa.
«Fin dal titolo, un film che programmaticamente vuole raccontare la nuova Torino dell'immigrazione e dei Murazzi, anche se in toni espliciti di commedia. Spinazzola, autore di cortometraggi ma soprattutto regista pubblicitario di successo, racconta in modo esplicitamente ironico una realtà che sta sconvolgendo per la seconda volta in mezzo secolo il tranquillo tran tran torinese. Nel cast era prevista anche una parte per l'icona hollywoodiana Ginger Rogers, che sembrava convinta di accettare: la sua presenza avrebbe sottolineato ancora di più il carattere onirico del film, che non avrà praticamente distribuzione» (S. Della Casa, Miracolo a Torino. Fatti, personaggi e storie dal mondo del cinema, Editrice La Stampa, Torino, 2003).
«Un punto a favore per il film è segnato dalla musica, che ne è uno dei protagonisti. Il viaggio dei nostri eroi è anche un viaggio nella musica in tutti i suoi differenti stili, dal jazz al funky fino alla house music. Diversi i generi ma uno solo il denominatore comune: la difficoltà di trovare ingaggio o anche solo di che sopravvivere per i musicisti del 2001» (F. De Girolamo, “Film” n. 23, settembre-ottobre 1996).
«Nella fanta-favola, si ipotizza un anno 2001 in cui la musica è fuorilegge in quanto “socialmente” pericolosa, e dunque musicisti, suonatori, band, gruppi, orchestrine sono perseguitati, sfrattati, costretti alla clandestinità per poter vivere e suonare, celati in antri, cascinali, ritrovi nascosti, luoghi abbandonati, e magari spinti alla sfida esibendosi sui sagrati delle chiese, in quanto non considerati suolo pubblico. Torino notturnissima e piovosa, campagne brumose, fangose: è lì che Spinazzola segue il peregrinare di uno stralunato complessino di extracomunitari e musicanti d'altre razze, più una cantante, un tecnico dei suoni e degli effetti, fumatore incessante e insonne dalla morte del suo idolo Frank Zappa e una “vieille dame” appassionata mecenate della band e della sua precaria attività. Da una fuga all'altra, dalla città al casolare perso nei campi dove troveranno l'aiuto del fratello della vecchierella-manager, suonatore appunto davanti alle chiese. Grottesco-fanta-musicale dagli accenti bonariamente ma creativamente visionari e sognanti in una città futuribile battuta da “pioggia sporca”, marcia, buia, magica, con quelle “tribù” musicali rinserrate in albergacci “a mezza stella” sul lungofiume dei Murazzi del Po, sulla banchina toccata dall'acqua scura e agitata. Musica e immigrazione. Un minuscolo “fantastico”, underground, divertito. Uno sguardo sulla realtà multi ed inter-etnica attraverso un piccolo mondo d'immaginazione ritagliato però in un domani prossimo che presenta già odierne suggestioni problematiche. Nel finale, ove compare un vecchio, amabile Philippe Leroy con mamma ex-padrona di antiche ferriere ora in sfacelo (pure qui questa dimensione), ritroveremo la band ospitata nel cadente luogo dì lavoro, a suonare sul tetto, mentre le prime luci dell'alba fanno intravedere, nel dolly che s'alza, un colpo d'occhio su profili di baite e capannoni industriali» (R. Gilodi, “Cinemasessanta” nn. 5/6-225/226, settembre-dicembre1995).
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